«La fragilità è come un pugno, così radicato dentro di noi che le persone lo usano come uno scudo per non penetrare il mondo. Quando si scopre di avere una crepa e che non si è solo intrappolati in un’armatura, allora questa crepa permette il cambiamento».
Lo si ascolterebbe per ore David Grossman. E le sue parole, tradotte sapientemente dall’amico Paolo Noseda, sono arrivate dritte al cuore e alla mente mercoledì 19 marzo nell’Aula Magna dell’Università Cattolica quando il famoso scrittore israeliano ha aperto la seconda edizione di “Soul, Festival di spiritualità” davanti a un pubblico di studenti, docenti e cittadini che al termine dell’incontro l’ha applaudito in piedi per diversi minuti. L’inequivocabile riconoscimento della statura di un autore che il direttore della Comunicazione dell’Ateneo Alessandro Zaccuri, in dialogo con lui, ha definito uno “straordinario essere umano”.
La fiducia fragile è il tema scelto per il momento inaugurale di Soul che quest’anno è dedicato proprio alla “Fiducia, trama del noi”, declinata nei giorni del festival fino a domenica 23 marzo negli oltre sessanta appuntamenti dislocati in luoghi significativi della città di Milano.
L’excursus proposto da Zaccuri nella presentazione di Grossman ha attraversato rapidamente alcuni dei romanzi che l’hanno eletto uno scrittore di fama mondiale: da quello che ha suggellato il suo grande successo come romanziere, tradotto in Italia alla fine degli anni Ottanta, Vedi alla voce amore all’ultimo La vita gioca con me, citando capolavori di sensibilità e alta letteratura come A un cerbiatto somiglia il mio amore (nell’originale Una donna in fuga), e passando da uno dei testi dedicati all’infanzia, L’abbraccio. Un testo, quest’ultimo, che, come ha detto la rettrice dell’Ateneo Elena Beccalli nel saluto introduttivo «con poetica concisione tesse l’elogio della fiducia, in tutta la sua fragilità e necessità». E cita un passo del libro: «Tu sei unico, spiegò la mamma, e anche io sono unica. Ma se ti abbraccio, non sei più solo e nemmeno io sono più sola. Proprio per questo hanno inventato l’abbraccio».
Eppure, fin dalla nascita «noi esseri umani veniamo al mondo che non siamo altro che fiducia. Ci lasciamo nutrire e guidare. Poi succede qualcosa, subentrano inciampi…». La sollecitazione di Zaccuri diventa un’occasione preziosa per Grossman che dice come l’abbraccio «non è solo un’azione fisica, ma qualcosa che entra nel cuore e si basa sulla fiducia sapendo che non c’è nulla di perfetto. Perché ci sia fiducia ci vuole accettazione».
Nel nostro mondo «in alcuni casi, c’è troppo io e poco noi. Sappiamo bene che, se manca la fiducia in un altro, e restiamo intrappolati nel nostro io, difficilmente riusciamo a creare cose buone: ciò è il prodotto dell’individualismo esasperato ed esasperante dei nostri tempi» – aggiunge la rettrice, certa che per riportare un equilibrio tra ciò che è “meglio” e la solidarietà occorra concentrarsi sul «fare le cose giuste», non tanto farne di più.
E il richiamo alla fiducia nell’altro viene ripreso durante l’incontro da uno dei curatori del festival Aurelio Mottola che parla di «legami sfilacciati nella diffidenza tra solitudine e bolle digitali». Ma la fiducia è «sbilanciamento verso l’altro, sempre esposta al rischio di essere delusa». Un richiamo che monsignor Luca Bressan, co curatore, riportando l’auspicio dell’arcivescovo monsignor Mario Delpini, applica agli abitanti di Milano perché colgano in Soul l’occasione per allenare la coscienza a cercare radici profonde, per irrobustire le pratiche di dialogo e stima reciproca e per imparare a respirare l’essenza ambrosiana. Un luogo dove assaporare «pause per guardare il pensiero profondo, dove ci si ascolta e si ritrova la trama del noi» – come dice Tommaso Sacchi, assessore alla cultura del Comune di Milano.
La fiducia è fragile, «è un bene scarso e prezioso, da maneggiare con prudenza e da non tradire», dice Zaccuri e Grossman risponde con la gratitudine per questo invito speciale che l’ha riportato in Italia, perché «essere oggetto di fiducia o avere fiducia è una cosa decisamente buona, ma anche molto rara nel mio Paese, perché oggi in Israele dominano la rabbia, la violenza, il razzismo. Quando capita una cosa buona, uno si accorge di che cosa è stato privato». E continua: «Se si riesce ad arrestare il sospetto e a superare stereotipi e generalizzazioni, diventa più facile coltivare la gentilezza».
Sono diverse le messe alla prova della fiducia. Nell’amore di coppia «ciascuno dei due coniugi consegna all’altro la propria felicità – dice Zaccuri – e questo comporta un alto rischio», ma «quando si parla d’amore si parla di una cosa estrema, si entra nello spazio più profondo dell’altro» – risponde Grossman e si scopre che il cuore è così grande da poter sempre trovare spazio per accogliere qualcuno.
Il luogo forse più difficile dove mettere in gioco la fiducia e fare i conti con la sua fragilità è un Paese come Israele, dove la situazione politica è incandescente e drammatica. «Quando uno nasce e trascorre la vita in un conflitto militare terribile come quello in cui io sono sempre vissuto, diventa un grande guerriero. È difficile avere un sentimento di speranza e leggere la realtà con gli occhi del nemico. Ma riuscire a ri-raccontare la storia significa innescare un dialogo e non essere intrappolati negli stereotipi, nei pregiudizi, nell’odio» – aggiunge lo scrittore. «Questo presuppone un prezzo incredibile: uscire dalle nostre ristrettezze mentali, non essere più sospettosi e monodimensionali nel nostro pensiero, non vedere più un unico livello di pensiero che è quello dell’odio, ma cercarne degli altri».
La logica da adottare è quella di cambiare prospettiva, perché il nemico è «qualcuno che non cambia», ma se ci si permette di sopportare e di avere una “crepa” allora «questa crepa permetterà un passo avanti, un contatto diverso che si può avere con la vita (con il proprio coniuge, con i figli, con gli amici e anche con i nemici, con il Paese che ti è nemico). Questo è un atto non d’amore, ma di sobrietà, che prevede di accettare anche la propria imperfezione».
I fatti di cronaca degli ultimi giorni testimoniano quanto questo passo sia difficile da attuare. E «quando uno è in un conflitto diventa un grande guerriero – aggiunge lo scrittore –. È difficile pensare che ci possa essere dell’amore e non parlo dell’amore hollywoodiano, o di quello di coppia, ma della possibilità di trovare amore nell’essere, nel vivere, nell’avere un sentimento di speranza».
In questo modo si riesce a vedere anche la nostra realtà con occhi diversi. «Tutti siamo stati vittime di guerre, è stato versato tantissimo sangue, sono stati uccisi tantissimi esseri umani (basti pensare ai quattrocento palestinesi di questi giorni, tra cui molti bambini) – continua Grossman –. Io vorrei che questo non fosse il nostro destino, che potessimo cambiare. È più facile continuare a odiare, perché è una cosa che si conosce. Sfidiamoci, invece, cerchiamo di superare questa prova, di cambiare questa opinione e la realtà ci parrà diversa».
Raggiungere la pace è qualcosa di simile al momento di sospensione quando si salta da un albero all’altro. «In quel momento ti ritrovi sospeso nel vuoto e devi avere coraggio, perché non hai più la terra sotto i piedi. Allora, se ce la fai a sopportare il salto riuscirai a ottenere la pace e il pensiero che questa guerra che colpisce da più di cento anni possa terminare».
Un ultimo pensiero Grossman lo dedica ai cinquantanove ostaggi israeliani ancora trattenuti da Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. «Da quel giorno è come se portassi al polso due orologi, quello della quotidianità e quello che aspetta che gli ostaggi tornino a casa. Io vi chiedo di pensare a queste persone almeno una volta al giorno, perché questo va a plauso di ciò che significa essere un essere umano».
Una umanità che per Grossman si raggiunge solo con l’arte, nel suo caso la letteratura, che può descrivere la gioia, i colori, la sensibilità, la paura, l’animosità, l’odio. Ed è grato che i suoi libri siano amati in tutto il mondo nella speranza che stimolino la mente e il pensiero.