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Elezioni presidenziali in Turchia: un Paese diviso a metà

31 maggio 2023

Elezioni presidenziali in Turchia: un Paese diviso a metà

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«Con questa vittoria si sono aperte le porte del secolo della Turchia». Lo ha detto il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, parlando ai suoi sostenitori a Istanbul nel discorso in cui ha dichiarato la vittoria nel ballottaggio delle presidenziali che si sono tenute domenica scorsa in Turchia. Nell’anno centenario della Repubblica di Turchia, il Presidente uscente si è confermato con il 52,16% dei voti, contro il 47,84% dello sfidante, Kemal Kılıçdaroğlu, segretario del CHP (Partito Repubblicano del Popolo), il principale partito di opposizione, attorno a cui si era formata un’ampia coalizione di altri partiti, uniti nel tentativo di interrompere il ventennale dominio di Erdoğan e dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo).

Un esito sorprendente se si considerano i sondaggi che hanno dato la coalizione guidata da Kılıçdaroğlu costantemente in vantaggio di alcuni punti fino a pochi giorni dal voto del primo turno, nel quale Erdoğan è risultato davanti, anche se non ha superato la soglia del 50% per riconfermarsi da subito. Ciò dimostra, ancora una volta, la forte presa del leader turco sulla popolazione, ma anche l’efficacia di un sistema di potere politico-mediatico che non è facile sconfiggere. La vittoria di Erdoğan è inequivocabile, tuttavia per la prima volta è risultata meno netta che in passato se si considera il successo di misura del Presidente uscente al ballottaggio. Kılıçdaroğlu, soprannominato il “Gandhi turco” per le sue iniziative non-violente in difesa dei diritti, ha dimostrato una grande capacità di mediazione, riuscendo a unire forze molto diverse (laici, nazionalisti moderati, curdi, aleviti) in un progetto politico innovativo che ha messo al centro il concetto di “inclusione”, scommettendo su una Turchia desiderosa di più pluralismo in politica e nella società.

Un articolo di

Giorgio Del Zanna

Giorgio Del Zanna

Docente di Cultura e civiltà della Turchia, Università Cattolica

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La distribuzione geografica del voto


Se si guarda alla distribuzione dei voti balza subito all’occhio come le grandi aree urbane (Edirne, Istanbul, Ankara, Smirne, Antalia), le regioni costiere occidentali e meridionali, insieme ai distretti curdi, abbiano votato nettamente a favore dell’opposizione, mentre l’AKP si è confermato nelle aree centro-orientali dell’Anatolia, nelle regioni rurali e nei centri produttivi anatolici (Konya, Kayseri, Sivas, Gaziantep, Karamanmaras) dominati dalla nuova classe media musulmana che ha trovato negli anni di Erdoğan stabilità, investimenti infrastrutturali cruciali, politiche economiche (specie la forte svalutazione della lira turca) favorevoli a sostenere l’export delle PMI turche, le cosiddette “tigri anatoliche”. Il voto per Erdoğan è stato, insomma, all’insegna dell’identità, della stabilità e della continuità. Colpiscono i consensi massicci anche nelle aree meridionali colpite violentemente dal recente terremoto: nonostante le polemiche per una politica edilizia selvaggia favorita dalla compiacenza del governo, la popolazione ha preferito, in una fase di grande incertezza e insicurezza, affidarsi alle vecchie certezze, piuttosto che tentare un salto nel buio. La coalizione di Kılıçdaroğlu, infatti, priva della maggioranza nel nuovo Parlamento, agli occhi di tanti non dava sufficienti garanzie di affidabilità, in un paese segnato per troppo tempo da una fortissima instabilità politica. Resta, infatti, aperto il problema dell’assenza di una vera alternativa politica all’AKP, in un paese molto articolato, a livello sociale e regionale, a dimostrazione che la Turchia ancora una volta non si lascia facilmente inquadrare in schemi troppo semplificativi (laci vs religiosi/ nazionalisti vs europeisti etc..). Il voto consegna un paese diviso nettamente a metà, tra una porzione del paese che guarda con favore ad una società più democratica sul piano dei diritti individuali, aperta e plurale, e una porzione decisa a difendere i valori tradizionali, comunitari, sposandoli con il neoliberismo economico. Il progetto di modernizzazione dell’AKP sembra riscuotere ancora la maggioranza dei consensi nel paese, ma le rapide trasformazioni della società turca potrebbero mutare alcuni degli attuali equilibri.

La riconferma di Erdoğan è indubbiamente una cattiva notizia per chi desidera una Turchia più libera e plurale, tuttavia, potrebbe anche non esserlo se si guarda al più ampio quadro internazionale: il presidente ucraino Zelens’kyj si è congratulato con Erdoğan in turco, a sottolineare i forti legami tra i due paesi, mentre Putin ha elogiato la politica estera “autonoma” dispiegata dalla Turchia. Paese sul “fronte” del conflitto russo-ucraino, può risultare forse più utile anche all’Europa una Turchia assertiva e maggiormente autonoma rispetto al blocco NATO, in grado di spingere il sistema internazionale a seguire logiche multilaterali, le sole capaci di produrre passi importanti verso la pacificazione, con il coinvolgimento di paesi di peso come la Cina, una linea che non avrebbe probabilmente garantito Kılıçdaroğlu.

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