C'è un gomitolo di cinture nere, da uomo, in bronzo. Sono tutte identiche, e ce n’è un’altra che avvolge una delle quattro gambe della credenza sulla quale è poggiato il groviglio. L’artista veneziana Monica Bonvicini nel 2019 ha pensato così Home Is Where You Leave Your Belt. L’opera è composta da una credenza Thonet B 108 intrisa di Bauhaus, ideata tra il 1930 e il 1931 dall’ebanista Michael Thonet. Sul piano di leggero acciaio curvato, Bonvicini ha poggiato un grande e pesante gomitolo di cinture. Evoca un gran numero di uomini che, rientrati a casa dopo il lavoro, si sono tolti i pantaloni. E suggerisce uno stato di predominio maschile, e di possibili soprusi e violenze.
Sui grandi schermi della Sala Negri da Oleggio sembra quasi di poterla toccare, l’opera di Monica Bonvicini, che è stata scelta come icona dell’incontro “Rompere le barriere, costruire il futuro: una riflessione sulla violenza pubblica contro le donne”. Dignità della persona, protezione della fragilità, educazione e cultura sono le parole chiave. La prima passa inevitabilmente per «la valorizzazione e la non negazione delle differenze», spiega Raffaella Iafrate, Prorettrice e Delegata del Rettore alle Pari Opportunità. La seconda si impernia sulla «costruzione di progetti che possano prendersi cura di tutte le forme di fragilità». Educazione e cultura, invece, sono «i primi elementi su cui lavorare», perché «le prime derive culturali vedono al centro le persone più fragili».
Proprio per questo l’Università Cattolica collabora con l’Associazione Genesi su questo progetto, perché «parte dalla convinzione che l’arte contemporanea possa rappresentare un ruolo di ambasciatore dei diritti umani». In questa edizione, prosegue la Prorettrice, il filo rosso è «il focus sulla condizione femminile nel mondo». Non c’è solo la «volenza fisica», ma anche la «violenza assistita», che è «intergenerazionale e subdola» perché è basata sul pregiudizio, c’è il «gender pay gap» e il «soffitto di cristallo». C’è poi un modello che impedisce «la conciliazione tra lavoro e famiglia», e contribuisce al «permanere di stereotipi di genere».