«Il nostro è un popolo condannato a morte. Ogni giorno muoiono fra 50 e 100 soldati ma le vittime fra i civili sono 10 volte di più». È la tragica testimonianza di monsignor Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, intervenuto lunedì 23 maggio all’iniziativa promossa dalla Fondazione Ambrosianeum, in collaborazione con l’Istituto Auxologico Italiano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, per riflettere sulla ferita che la tremenda aggressione all’Ucraina ha aperto in Europa, dopo settant’anni di pace. Del resto, «la guerra non è più un ricordo del passato o una notizia che arriva da territori lontani», ha affermato Marco Garzonio, presidente di Fondazione Ambrosianeum, introducendo i lavori dell’iniziativa “Ucraina: una pace da costruire”, che ha coinvolto qualificati accademici. «Il conflitto in Ucraina interpella le nostre coscienze su come essere, nel concreto, costruttori di pace e giustizia. Per questo impone alla politica, alla diplomazia, alle religioni e agli operatori economici e culturali di mettere sempre al centro la vita delle persone e le condizioni per renderla veramente umana».
Di qui la necessità di avere a disposizione strumenti per comprendere e per interpretare quanto sta avvenendo. Perché, ha dichiarato nel saluto iniziale il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, «noi siamo spettatori inermi il cui solo strumento di reazione è quello della conoscenza per una opinione avveduta e informata».
Da questo punto di vista anche la Chiesa può dare una mano. «Il Signore opera nei cuori e può chiamare a conversione e a una fraternità superiore anche popoli ostili gli uni agli altri», ha detto l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, in un video-messaggio trasmesso durante il convegno. «Porto la solidarietà della Chiesa di Milano e dell’Occidente sensibile e capace di aiutare e far giungere aiuti accogliendo gente che porta negli occhi lo spavento di questa distruzione. In ogni caso tale solidarietà si riconosce inadeguata e impotente perché il vero modo di realizzarla è con la pace, intesa come un sistema di relazioni politiche e costruttive. Le relazioni tra le persone sono il principio della pace, rese possibili da uomini e donne chiamati ad essere fratelli e sorelle. Il principio della pace è l’incontro, lo sguardo che incrocia lo sguardo, la mano che stringe la mano».
A tracciare un quadro della tragica situazione che si sta vivendo nelle aree di conflitto è stata la toccante testimonianza di monsignor Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, intervenuto in collegamento streaming. «Caduta l’Unione Sovietica pensavamo che i tempi di guerra in Europa fossero stati archiviati. La guerra è associata con il gioco dei computer ma purtroppo dal 24 febbraio, quando i primi razzi sono caduti sulle nostre teste, ci siamo svegliati in una realtà diversa rispetto a quella alla quale eravamo abituati. L’Ucraina e la Russia di prima non esistono più». Sulle basi di tali premesse l’arcivescovo ha detto che spiegare la guerra - da lui definita una «pazzia che non incide solo sull’Europa ma anche su tutta l’umanità» - è impossibile e quindi ha voluto descrivere solo dei fatti. Ha parlato dei rifugiati in cattedrale, delle fosse comuni, degli stupri su uomini, donne e bambini, che hanno lo scopo di umiliare pubblicamente le persone.
Una barbarie cui solo la pace può mettere fine. L’ha spiegato bene Raul Caruso, docente della cattedra di Economia della pace all’Università Cattolica, unica in Italia con questa denominazione, secondo cui non esistono soluzioni militari ai conflitti armati. Ha poi illustrato gli interessi economici «che fanno da anticorpi al conflitto armato in un contesto di globalizzazione, comprensivo della situazione delle fonti energetiche e del mercato delle armi a discapito degli investimenti su ospedali e scuole».
La situazione religiosa nel rapporto tra le chiese è stata descritta da monsignor Francesco Braschi, direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana, soffermandosi sulle relazioni tra le varie chiese che potevano incontrarsi e invece hanno alimentato un clima di diffidenza. «Il cristianesimo non è solo un insieme di verità ma la sequela di una persona concreta, Gesù Cristo» e, per questo, «resta fondamentale il dialogo con l’altro».
Ulteriori episodi di brutalità, che descrivono il clima di terrore vissuto in quelle terre, sono stati raccontati da Nello Scavo, inviato del quotidiano Avvenire in Ucraina.
L’attività, le potenzialità e l’importanza della diplomazia nei conflitti sono state affidate a Cristian Colţeanu, già ambasciatore di Romania in Italia.
Fondamentale anche la solidarietà, che per fortuna non si ferma. Mario Colombo, direttore generale dell’Istituto Auxologico, ha citato le strutture dell’istituto operanti in Romania ricordando i colleghi impegnati «con generosità a sostegno di chi arriva dall’Ucraina dove la guerra esiste e la pace non va imposta ma costruita».
Sono poi seguite le testimonianze di due persone impegnate in Romania, Moldavia, Polonia, i tre snodi attraverso cui l’Europa affronta il primo impatto con la guerra: Oana Grigorescu, coordinatrice di Fundația Pentru Inovatii Sociale Regina Maria, Corbeanca, Romania, e Luminita Rotaru, direttore sanitario di Cardiorec Auxologico Romania, le quali hanno parlato dell’assistenza ai profughi consolati nelle loro paure e aiutati, ricevendo sostegno materiale, medico e psicologico.
Un destino, insomma, quello della popolazione ucraina cambiato dall’oggi al domani. Ecco perché la pace resta la medicina più importante in grado di riportare la felicità negli occhi dei bambini ed evitare il “naufragio dell’umanità”, per usare l’espressione di papa Francesco.
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