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Una tregua per un mondo senza tregua

23 luglio 2024

Una tregua per un mondo senza tregua

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«In questo periodo turbolento, in cui la pace mondiale è seriamente minacciata», scrive Papa Francesco nel messaggio inviato all’Arcivescovo metropolita di Parigi, Monsignor Laurent Ulrich, in occasione delle Olimpiadi 2024, «è mio fervente auspicio che ognuno abbia a cuore di rispettare» la «felice tradizione» della tregua olimpica, «nella speranza di una risoluzione dei conflitti e del ritorno alla concordia». I «Giochi Olimpici», aggiunge infatti il Santo Padre, «sono, per natura, portatori di pace e non di guerra».

Le parole del Pontefice colgono un aspetto cruciale che sta alla radice del rapporto tra sport e politica internazionale, ossia il problema della guerra e la questione della pace. Un aspetto ancora più spinoso nell’attuale congiuntura del sistema globale, in cui – insieme a molti conflitti (purtroppo) dimenticati – l’invasione della Russia all’Ucraina e lo scontro tra Israele e Palestina non solo continuano a generare morte e distruzione, ma rischiano anche di deteriorare l’instabile (dis)ordine mondiale.

A una settimana dall’inizio dei Giochi, il 19 luglio è scattata infatti la tregua olimpica, che obbliga gli Stati a garantire l’interruzione di tutte le ostilità, consentendo il passaggio e la partecipazione in sicurezza di atleti e spettatori. Proprio questi due scenari di guerra rappresentano un banco di prova fondamentale per il Comitato olimpico internazionale (Cio) e per l’effettiva capacità delle istituzioni sportive di promuovere il valore della pace. Diverse ragioni – politiche, strategiche e giuridiche – hanno condotto il Cio a seguire strade nettamente differenti nei confronti degli Stati coinvolti nelle operazioni belliche in Ucraina e a Gaza.

Nei confronti della Russia e della Bielorussia, il Cio è stato intransigente. Riaffermando, di fatto, la decisa presa di posizione iniziata dopo l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina nel febbraio 2022. Nel corso dell’ultimo anno, numerosi sport olimpici, ad eccezione dell’atletica, hanno allentato le restrizioni, consentendo agli atleti di entrambi i Paesi di tornare alle competizioni a determinate condizioni. Ai Giochi di Parigi, invece, gli atleti – 54 russi e 28 bielorussi – non potranno essere presenti alla cerimonia inaugurale sulla Senna e parteciperanno come atleti individuali e neutrali (le cui eventuali medaglie non saranno conteggiate nel medagliere olimpico). Inoltre, il Cio ha duramente contestato il «cinico tentativo di politicizzare lo sport» attraverso la creazione dei “Giochi dell’Amicizia”, che si dovrebbero tenere a settembre del 2024, alcune settimane dopo i Giochi Olimpici di Parigi. Ciò rappresenta «una palese violazione della Carta Olimpica», oltre che «una violazione delle varie risoluzioni delle Nazioni Unite».

Per quanto riguarda Israele, invece, la situazione è assai differente, sia perché lo Stato di Palestina non è un membro delle Nazioni Unite (dove mantiene ancora lo status di osservatore), sia a causa dello scarso “peso politico” della componente palestinese all’interno del Cio. Gli atleti israeliani prenderanno regolarmente parte ai Giochi di Parigi. Al di là delle possibili azioni di boicottaggio provenienti da singoli atleti o federazioni sportive di Stati come l’Iran, le Monarchie del Golfo o molti Paesi arabi, il vero rischio è quello di determinare un “precedente” pericoloso, che potrebbe essere utilizzato oggi e in futuro da Stati sanzionati dal Cio, proprio come la Russia e la Bielorussia per le proprie rivendicazioni politiche e sportive.

Ogni guerra affonda le proprie radici in cause, rivendicazioni e interessi differenti. Tuttavia, il rischio di creare di fatto un “doppio standard”, applicabile in maniera indiscriminata a seconda dell’opportunità politica del momento, nei confronti dei conflitti presenti nel sistema globale, da un lato, mette in pericolo la necessaria “universalità” di cui necessitano le istituzioni dello sport – prima fra tutte il Cio – per fondare la propria legittimità, dall’altro, offre il fianco alla propaganda di quegli Stati e di quei nazionalismi che mirano a disarticolare il sistema internazionale esistente.

Un articolo di

Luca Gino Castellin

Luca Gino Castellin

Docente di Scienze politiche e relazioni internazionali - Università Cattolica

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