Far emergere e valorizzare i nuovi talenti, che abbiano conseguito una laurea in uno degli atenei lombardi, nei campi dell’editoria e dell’audio visivo. Questo è l’obiettivo di Milano Pitch, l’evento promosso dall’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Fondazione Milano Scuole Civiche. Il 25 novembre si è tenuta la quarta edizione di questo concorso, che ha premiato quattro progetti (scelti tra 20 finalisti), uno per ognuna delle categorie previste: cinema, serie tv, narrativa ragazzi e narrativa adulti. E proprio in quest’ultima categoria si è aggiudicato la vittoria Alberto Bordin con la sua opera “Turbanti”. Un percorso iniziato nei chiostri di largo Gemelli con la laurea triennale in Linguaggi dei media e proseguito con il Master International Screenwriting and Production (MISP). Grazie a questo successo Alberto Bordin, classe ‘92, ha vinto una borsa di studio da 4mila euro e la possibilità concreta che il suo progetto diventi un libro.
E ora Alberto ci racconta la sua storia e i suoi piani per il futuro.
Qual è stato il tuo percorso di studi?
«Ero combattuto tra fare studi di arte o invece avere un titolo di laurea. Ho cominciato con lettere e dopo quattro mesi sono passato a linguaggi dei media. Ho sempre avuto una passione per la regia e anche adesso continuo a lavorare nell’ambito cinematografico in modo amatoriale e questo corso universitario mi ha concesso il tempo di seguire un’associazione culturale all’Università Cattolica che si chiama “Comunicando”. È stato il periodo più vivace per me nella triennale perché ho potuto seguire degli incontri sulla filmografia di Christopher Nolan: abbiamo cercato un fil rouge su quale fosse il suo tema umano. Ho intrapreso poi un progetto con la Pixar, negli anni del film “Inside out” e poi ho continuato con altre esperienze di regia».
Come sei passato al mondo della sceneggiatura?
«Il mio obiettivo era quello di entrare al master di sceneggiatura: avevo fatto tanti corsi di recitazione e fotografia ma non avevo idea se un film fosse scritto bene o male. Il master biennale MISP con il professor Armando Fumagalli per me è stato il punto di svolta, di rivelazione, perché lì ho scoperto le teorie dello storytelling e ho imparato che le storie hanno una struttura, un funzionamento e un significato- E c’è una ragione per cui funzionano così. Mi sono laureato e diplomato nel 2015 e ho iniziato a svolgere degli stage sul set della serie “Che Dio ci aiuti” e per sei mesi a Mediaset nell’osservatorio editoriale. Coi miei colleghi leggevo romanzi dell’editoria italiana cercando poi di adattarli al grande e piccolo schermo. L’aspetto più importante è far comunicare la narrativa editoriale con la narrativa televisiva. Pensiamo per esempio a serie come “I bastardi di Pizzofalcone” o “Il Commissario Montalbano”, tutte queste storie sono romanzi diventati poi delle serie. Un produttore televisivo riesce a inquadrare meglio una storia televisiva se dietro c’è un romanzo perché ha già un pubblico di riferimento e una copertina».
Perciò un romanzo può diventare sempre una serie tv?
«Bisogna partire da una premessa: tutte le storie funzionano allo stesso modo. Non tutti sono convinti di questo ma io sì, è quello che ho scoperto al master. Teatro, letteratura e cinema racchiudono storie con una struttura in comune quindi la trasposizione e l’adattamento dovrebbe sempre essere possibile. C’è una differenza importante tra serialità e editoria. Se fai un concept di serie tv, i produttori non vogliono che la storia abbia una fine perché investono molte risorse mentre con il romanzo è il contrario, nella maggior parte dei casi deve essere autoconclusivo in modo che la storia funzioni».