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Relazione, il dono che fa riscoprire sé stessi

13 gennaio 2021

Relazione, il dono che fa riscoprire sé stessi

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C’è una parola che può unire modelli di sharing economy, onlus che operano a sostegno dei poveri e un’esperienza missionaria nel sud dell’Algeria. Si scrive “relazione” e possiamo intenderla come il fattore che spinge qualcuno a uscire dalla propria comfort zone, mettersi in gioco nel rapporto con l’altro e, se si lascia colpire da chi si ha di fronte, portarsi a casa un guadagno, un dono. Sull’approfondimento di questa parola si è incentrato il secondo incontro del ciclo “Be present, volontariato al centro”, organizzato dal Centro Pastorale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per riflettere sul valore dell’esperienza del volontariato che l’ateneo propone ai suoi studenti attraverso lo sportello Be Present nella sede di Milano. Il titolo di questo appuntamento era “Relazione: prossimità senza confini” ed è stato moderato da Matteo Brognoli, educatore dell’ufficio Mondialità del Pontificio Istituto Missioni Estere e collaboratore del Centro Pastorale dell’ateneo.

Il valore della relazione Padre Piero Masolo, missionario del Pime, l’ha compreso nel Sud dell’Algeria, a 2000 km dall’Italia. «Trovarsi fuori dal contesto in cui sei nato e cresciuto ti fa tornare bambino – spiega Padre Masolo-. Se uno è disposto ad andare oltre a ciò che conosce trova un dono. Io, per esempio ho visto nella concretezza di una copia cos’è il vero dialogo interreligioso. Non si tratta di una questione di massimi sistemi ma del rapporto tra la cristiana Marina e il musulmano Mohammed: trent’anni di matrimonio in cui rispetto e bene prevalgono sulla fatica e la difficoltà. E oggi i suoi figli, musulmani, si arrabbiano se lei non fa il presepe cristiano in casa loro. Non tutte le relazioni sono così ma se alla base di esse c’è la disponibilità a incontrarsi lasciano il segno».

Dopo l’11 settembre e l’attentato alle Torri Gemelle invece ha trovato sempre più spazio il racconto di uno scontro tra mondo occidentale e mondo musulmano: «Poi però ti trovi a vivere come missionario in un’oasi del sud dell’Algeria e ti rendi conto che lì la Chiesa non potrebbe sopravvivere senza l’aiuto di centinaia di musulmani -continua Padre Masolo-. L’esperienza del volontariato è simile a quella del missionario: lasci ciò che conosci per lanciarti in contesti in cui creare ponti passando attraverso gli spiragli creati dalle fratture che dividono il mondo».

«Spesso nel mio ambito – racconta Ivana Pais, docente di Sociologia Economica presso la facoltà di Economia della Cattolica- quando presento ricerche ai miei studenti sulla funzione della relazione nella ricerca del lavoro essi pensano subito alle raccomandazioni. Ci sono tanti sistemi economici e lavorativi in cui si pensa che essa sia un problema, che sottragga spazio all’oggettività e al merito nella selezione». Dal 2008, con la crisi globale e l’affermarsi di nuove tecnologie, sono nati nuovi modelli economici che invece puntano non solo a uno scambio di beni e servizi regolato dal denaro ma anche a considerare la relazione stessa un guadagno: «Siamo esseri relazionali – continua Pais-. Ma attorno al termine Sharing Economy è nata molta confusione e tanti ne hanno approfittato in modo poco etico e democratico. Nonostante questo, anche per via del Covid, vedo sempre più spazi di coworking, piattaforme di crowdfunding per sostenere progetti imprenditoriali e sociali in cui non c’è solo lo scambio economico come unità di misura».

Tanti ragazzi che attraverso l’Università e il Pime hanno chiesto di fare esperienze di volontariato sono stati indirizzati all’Opera San Francesco per i poveri. La Onlus, nata nel 1959 dall’intuizione del frate cappuccino Cecilio Cortinovis, opera a Milano e offre beni primari ai bisognosi: cibo, medicine e la possibilità di una doccia: «Tutto è nato da un uomo che non è rimasto indifferente a chi bussava alla porta del suo convento- racconta Fra Giuseppe Fornoni, vice presidente dell’Opera-. Oggi incontriamo tra le 2800 e le 3800 persone al giorno a cui diamo vestiari, medicine e pasti caldi. Tutto grazie ai nostri oltre mille volontari, di cui 250 medici che offrono servizio nel nostro poliambulatorio. Ma il vero miracolo quotidiano è il miracolo di relazione, noi proviamo a viverla quotidianamente assieme ai volontari e ai nostri ospiti. Fare un’esperienza del genere è come stare davanti a uno specchio dove scopri sempre più te stesso nel rapporto con l’altro».

«Mi spaventa molto il senso di sospensione che stiamo vivendo in questo periodo – conclude Pais-. Tanti aspettano che passi la pandemia per ricominciare a vivere, come nel dopoguerra. Ma non ci sarà una frattura così netta. Il futuro va costruito adesso e iniziative come Be Present sono importanti per tale scopo. Il radicamento territoriale è una proposta di senso che va coltivata oggi per riscoprire il valore della prossimità, un concetto sempre più importante ora che siamo privi delle possibilità di spostarci del passato e che sta già portando a ripensare i nostri territori e i nostri servizi».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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