La sera dell'11 luglio 1982 allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid la Nazionale italiana di calcio, battendo in finale 3-1 la Germania Ovest, si laureava campione del mondo per la terza volta nella sua storia. A quarant'anni dall'indimenticabile cavalcata degli Azzurri al Mundial di Spagna la professoressa Cinzia Bearzot, docente di Storia greca del nostro Ateneo e figlia del ct della squadra campione del mondo, ha ricordato il padre in un'intervista rilasciata al Corriere dello Sport.
In alto, nella foto di archivio, Enzo Bearzot e la figlia Cinzia - all'epoca laureata dell'Università Cattolica e addetta alle esercitazioni di epigrafia romana - leggono la rivista di Ateneo "Presenza" che celebra la conquista del terzo titolo mondiale (8 novembre 1982).
L'amore nei confronti del padre si mischia all'ammirazione per l'uomo e alla stima per il ct che ci ha fatto vincere il Mondiale del 1982. Parlare con Cinzia Bearzot evitando di commuoversi è difficile, soprattutto adesso, a una manciata di ore dal quarantesimo anniversario dell'impresa al Bernabeu. «Se fosse ancora qui - ha raccontato ieri seduta sul divano di casa sua -, a mio papà avrebbe fatto piacere constatare quanto la gente ami ancora lui e i suoi ragazzi. Abbiamo vinto il Mondiale nel 2006, ma intorno al trionfo della squadra dell'82 c'è una sorta di mito, un qualcosa di difficile da pareggiare e da spiegare».
Se non ci riesce lei, professoressa universitaria di Storia Antica alla Cattolica...
«Gli studi classici, che ho intrapreso perché mio padre era stato un ottimo studente al liceo classico e ha acceso in me la passione per certi autori, non mi aiutano. Sono sincera: non credevo che l'Italia potesse vincere quella Coppa del Mondo».
Perché?
«Mi ricordo il clima, l'ansia e la preoccupazione che c'erano prima di volare in Spagna: le critiche della stampa per alcune scelte di mio padre, i risultati deludenti delle amichevoli e poi delle gare del girone. Non c'erano le condizioni per andare lontani».
E invece...
«Invece pian piano quella spedizione ha assunto un tono epico perché sono capitate cose che sembravano incredibili e assurde. Si è iniziato a credere al sogno e la paura è sparita».
A lei quando è successo?
«Dopo "la partita" ovvero il 3-2 sul Brasile. Da quel momento in poi ho capito che ce l'avremmo fatta, ma vi assicuro che in precedenza restare in Italia e leggere i giornali non era affatto piacevole per me che ero la figlia di Bearzot. Sa come li chiamavano gli azzurri? L'armata Brancazot. Intollerabile. Io mi arrabbiavo parecchio perché la critica preventiva e prevenuta non mi è mai piaciuta. Sembrava che tifassero tutti contro, che aspettassero di processare il ct e la squadra. Una gogna mediatica come quella era assurda e angosciante».
Suo padre come lo sentiva al telefono? Calmo o preoccupato?
«Mi ero già sposata e non vivevo più con i miei genitori. Papà parlava soprattutto con la mamma, ma lui non si è mai scomposto o fatto influenzare. Era una persona coerente, che andava avanti per la sua strada, mettendo il gruppo davanti a tutto».
Anche per lui però non sarà stato facile: le "bordate" per le esclusioni di Beccalossi e Pruzzo, la fiducia incondizionata a Paolo Rossi e al gruppo della Juventus...
«Vi fermo subito. Su Paolo, che era reduce dalla squalifica per il calcio scommesse, non ha mai avuto un dubbio: ha sempre creduto nella sua innocenza ed era sicuro che in campo non lo avrebbe tradito. E' stato bravo ad aspettarlo quando non segnava».
Al Sarrìa i tre gol di Pablito al Brasile e la cavalcata dell'Italia fino al Bernabeu...
«Il Brasile sembrava una squadra di mostri, ma la vittoria sull'Argentina di Maradona aveva cambiato la storia e aveva fatto capire che niente era impossibile».