Interessate a coglierne le opportunità e allo stesso tempo preoccupate dei rischi. Nei confronti dei media digitali le parrocchie italiane hanno un atteggiamento curioso ma molto variegato e non privo di contraddizioni. Ci sono quelle che li hanno sperimentati, alcune anche con un successo sorprendente, e non tornerebbero più indietro, e quelle che invece conservano un atteggiamento «difensivo». Orientamento che è stato attenuato ma non cancellato nemmeno dalla pandemia, durante la quale i parroci sono stati costretti a utilizzare le nuove tecnologie pur di non perdere il contatto coi fedeli. Fossero i partecipanti alla messa (che nel primo più severo lockdown non è stato possibile celebrare), o i ragazzi del catechismo, o i volontari dei gruppi di aiuto. È quanto emerge dalla ricerca “Generare relazioni di comunità nell’era del digitale. La sfida delle parrocchie prima e dopo la pandemia”, condotta da un pool interdisciplinare di ricercatori dall’Università Cattolica.
L’indagine, finanziata interamente dall’Ateneo, «rientra in un progetto di ricerca più ampio sul rapporto tra tecnologia e l’umano», e intende rappresentare nel centenario della fondazione dell’Università «un segnale di restituzione alle comunità ecclesiali per il sostegno che hanno dato alla sua nascita», hanno sottolineato la prorettrice vicaria, Antonella Sciarrone Alibrandi e l’assistente ecclesiastico generale, monsignor Claudio Giuliodori, aprendo il convegno, venerdì 20 maggio, durante il quale sono stati presentati e discussi i risultati.
Come ha spiegato Pier Cesare Rivoltella, direttore del CREMIT (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Innovazione e alla Tecnologia), commentando le risposte fornite dagli stessi parroci, prevale un tipo di «utenti abbastanza tradizionali». Tuttavia, benché prediligano ancora gli old media (televisione e cinema), i fedeli non si astengono dal frequentare i nuovi. I social fanno parte delle loro abitudini ordinarie: «solo il 10% di loro dichiara di non usare WhatsApp e c’è un 32% che si dimostra multitasking» - ha fatto presente Rivoltella. Tuttavia, anche quando impiegano Facebook o Twitter, una larga maggioranza (il 68%) lo fa «per informare più che per comunicare». Come in altri ambiti, anche in questo caso la pandemia è stato un grande acceleratore di processi. «Almeno un 14% da una posizione di basso consumo e da un atteggiamento difensivo, di protezione, è passato a un uso consistente». Ciononostante «difficilmente pensano alla tecnologia in funzione della pastorale e della comunità» - ha sottolineato Rivoltella.
L’uso che le 25mila parrocchie distribuite in oltre 220 diocesi fanno dei media appare molto diversificato. L’indagine, come ha illustrato Lucia Boccacin, responsabile scientifico della ricerca, ha individuato tre grandi categorie. «Nelle parrocchie tradizionali con relazioni pragmatiche», preoccupate soprattutto di offrire servizi ai fedeli (dalla messa all’oratorio ai sostegni materiali per le persone in difficoltà), di piccole dimensioni, in cui il parroco ha un’età superiore a 60 anni - la tipologia più cospicua (45,3% di quelle esaminate), «le tecnologie digitali sono usate per diffondere informazioni molto meno per incentivare relazioni e connessioni». Nelle parrocchie dove esistono già rapporti tra le persone improntate alla cooperazione, corrispondenti a comunità di grandi dimensioni, rette da parroci con un’età media tra i 50 e i 59 anni - la tipologia minoritaria, 23,9% del campione, «il ricorso alle tecnologie digitali è elevato e le si guarda con un atteggiamento favorevole». Il loro uso è addirittura «frequente» ed è indirizzato alla costruzione di relazioni in oltre un terzo delle comunità analizzate dalla ricerca dove operano i parroci con un’età inferiore ai 50 anni.
«In genere - ha detto Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Ateneo - i parroci che sono generativi a livello sociale e hanno uno sguardo attento nei confronti delle nuove generazioni, considerano le tecnologie utili per migliorare la qualità del servizio pastorale».
Conta dunque la sensibilità del parroco. Ma non solo. Un’altra discriminante riguarda la struttura organizzativa della parrocchia. «Quelle più strutturate sono anche quelle che usano la tecnologie per una vastità di scopi» - ha osservato Chiara Paolino, docente di Organizzazione aziendale in Cattolica.
«In ogni caso dove sono stati impiegati con successo, i media digitali hanno mostrato di rafforzare in maniera significativa i legami all’interno dei gruppi, fatto acquisire nuove competenze relazionali, dato risposte a persone, che per le loro caratteristiche soggettive, non avevano accesso ai luoghi parrocchiali: dagli anziani ai disabili» - ha messo in luce la sociologa dell’Ateneo Donatella Bramanti.