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Conciliazione famiglia-lavoro: ancora troppi stereotipi

05 febbraio 2021

Conciliazione famiglia-lavoro: ancora troppi stereotipi

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Il periodo pandemico, con il massiccio ricorso allo smart working, ha innescato una serie di reazioni, novità e talvolta problemi portando alla ribalta il difficile rapporto tra famiglia e lavoro. A subirne gli effetti soprattutto le donne costrette “da casa” a dover gestire contemporaneamente vita d’ufficio e vita famigliare a malapena mantenendo un equilibrio tra i due ambiti. Una riprova che, nonostante i passi avanti compiuti, certi stereotipi permangono. «Paghiamo il prezzo di un’assenza di politiche. L’ultimo intervento serio risale al 2000 e quindi alla legge sui congedi parentali. Da allora non ci sono stati più grandi avanzamenti». Ad affermarlo Laura Linda Sabbadini, direttrice Centrale Istat, intervenuta al webinar “La conciliazione famiglia-lavoro ai tempi dell’emergenza sanitaria: intrecci possibili o impossibili?”, promosso il 4 febbraio dal Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia con l’obiettivo di richiamare l’attenzione su un tema cruciale che l’emergenza sanitaria ha contribuito a mettere maggiormente sotto i riflettori.

«Oggi c’è stato un incremento degli uomini che svolgono il ruolo di padri in modo più condiviso», ha osservato Sabbadini. Ma «occorre la responsabilizzazione dei padri in mancanza di politiche che prevedano il diritto alla disconnessione e a saper riorganizzare il lavoro in modo flessibile. L’esperienza di questi mesi ha penalizzato le donne per cui è importante impostare la riflessione sulla cura, che ha a che vedere con il lavoro femminile».  

L’evento – che ha preso le mosse anche dalla presentazione del volume a cura di Claudia Manzi e Sara Mazzucchelli dal titolo Famiglia e lavoro: intrecci possibili. Studi interdisciplinari sulla famiglia (Vita e Pensiero) – è stata altresì l’occasione per offrire qualche spunto di riflessione, «anche di natura legislativa in considerazione della costituzione del nuovo governo», ha specificato Stefania Aloia, caporedattore centrale di “la Repubblica”, moderando il dibattito.

Una questione, quella della conciliazione, sicuramente molto sentita e che per questo, ha rimarcato Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, «non riguarda solo l’accademia», e pertanto «risulta appassionante proprio perché riguarda la vita di ciascuno».

Tutti nodi venuti al pettine con l’emergenza sanitaria. Ulrike Sauerwald, di Valore D, ha notato che per gli uomini nel lockdown è stato più semplice mantenere il confine tra lavoro e vita domestica: «Le donne, invece, lavorano di più e fanno fatica a mantenere separati i due mondi. Anche in un’ottica di divisione degli ambienti di casa di solito lo studio è destinato al marito e la moglie deve accontentarsi della camera da letto o della cucina. Per questo dopo un anno vissuto così la fatica si fa sentire: le transizioni di vita provocano nuovi bisogni. Ma per focalizzare tali bisogni è importante ascoltare le esigenze di tutti».

Le donne, dunque, hanno dovuto farsi carico in modo ancora più consistente della cura dei figli e della casa, accusando rispetto agli uomini evidenti segnali di stanchezza e di fatica nella gestione del livello di stress accumulato in questi mesi. Come confermato  dai primi risultati dell’indagine “Conciliare lavoro e relazioni ai tempi del Covid-19”, a cura del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia. Realizzata nel periodo dell’emergenza sanitaria (da marzo a dicembre 2020) ha seguito in diverse fasi dell’epidemia un gruppo di lavoratrici e lavoratori - 306, di cui l’83.3% composto da donne, il 66.7% da sposati o conviventi, il 70.9% con figli, il 61.3% da lavoratori dipendenti - per monitorarne i cambiamenti nei livelli di benessere e di conciliazione tra famiglia e lavoro.

Una testimonianza concreta sulle difficoltà di gestire lavoro e famiglia è stata portata da Francesca Rizzi, CEO & Cofounder Jointly, sia come mamma sia come imprenditrice: «La lavoratrice autonoma, che pure si assume il rischio d’impresa, è penalizzata e non ha tutele».

Ecco perché fondamentali sono i servizi messi a disposizione dal Paese. Un aspetto su cui si è soffermato Claudio Lucifora, docente di Economia politica nella facoltà di Economia, rilevando l’impatto economico sul tessuto sociale anche in relazione agli altri Paesi e sottolineando l’importanza di poter usufruire di servizi dati da asili, collaboratori familiari, baby sitter e… anche dagli elettrodomestici: «Pensate che pure la lavatrice ha cambiato la divisione dei compiti in casa, permettendo alla donna un maggior ingresso nel mondo del lavoro».

Nel merito della ricerca sono intervenute le curatrici del volume: Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale presso la facoltà di Scienze della formazione, e Sara Mazzucchelli, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la facoltà di Psicologia.

«Se come diceva Freud amare e lavorare sono i cardini della realizzazione personale, noi vediamo il rapporto tra famiglia e lavoro come un intreccio, come tanti fili che appunto si intrecciano per formare un tessuto, il tessuto della nostra identità», ha precisato la professoressa Manzi. Pertanto «non bisogna vivere questo rapporto come conflittuale, dato che sono tanti gli elementi che costituiscono la nostra identità. E la pandemia ci ha costretti, quasi come un miracolo, a vedere tali intrecci».

Il concetto di «cura condivisa» è stato ripreso dalla professoressa Mazzucchelli: «All’interno della coppia ha migliorato il lavoro e ridotto lo stress, ha mostrato il lato positivo per considerare l’ambito familiare e lavorativo come ambiti che si possono arricchire reciprocamente, evitando l’isolamento e il ripiegamento della famiglia su se stessa».

Negli intenti delle curatrici, i notevoli spunti pratici hanno portato a considerare la ricerca non come un punto di arrivo ma come un punto di partenza: se le politiche del bonus sono risultate non efficaci o insufficienti, occorre puntare su un cambiamento culturale finalizzato al rispetto verso la cura che venga inculcato sin da bambini, imparando a comunicare oltre gli stereotipi di genere o della tradizionale divisione dei compiti, per un innesto fecondo tra famiglia e lavoro che tenga conto dell’attuale contesto economico, sociale e sanitario.

Un articolo di

Agostino Picicco

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