NEWS | Convegno

Cooperazione internazionale, la sfida della campagna 070

03 ottobre 2022

Cooperazione internazionale, la sfida della campagna 070

Condividi su:

La cooperazione internazionale serve. Ma non è né assistenzialismo né liberalità. Ha bisogno di risorse economiche. Solo così è possibile contribuire a garantire il mantenimento della pace a livello globale. Va in questa direzione la campagna 070 che punta a destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo all’aiuto pubblico allo sviluppo. «Era il 24 ottobre 1970 quando l’Italia in sede di Nazioni Unite si è presa questo impegno», spiega Ivana Borsotto, presidente della Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario (Focsiv), illustrando la proposta alla platea di una gremita Aula Pio XI nell’ambito del dibattito “Per una geopolitica della pace”, promosso sabato 1° ottobre dal Festival della Missione. «Già cinquant’anni fa l’Onu e il nostro Paese avevano capito che il mondo diventando globale diventava interconnesso, più piccolo, prevedendo così che i mali di ciascuno sarebbero stati i mali di tutti e che i grandi temi, come cambiamento climatico, pandemia, povertà, flussi migratori, possono avere solo soluzioni globali».

 

 

La proposta, che nasce su spinta delle tre reti Aoi, Cini e Link 2007 con il patrocinio di Caritas e Fondazione Missio, parte da un dato concreto: negli ultimi anni gli investimenti che il nostro Paese ha dedicato alla cooperazione internazionale hanno toccato il minimo storico. Nel 2020 hanno sfiorato appena lo 0,2%, una percentuale molto bassa rispetto a quella di Paesi come Germania o Regno Unito. «Il nostro obiettivo è chiedere alla politica e alle istituzioni un provvedimento normativo che stabilisca un calendario preciso, vincolante, e graduale che garantisca così di arrivare a questo traguardo, quello dello 0,7%, che nell’agenda italiana è stato spostato al 2030. Siamo consapevoli che, se non iniziamo a lavorare adesso, arriveremo a quella data senza essere pronti», avverte Borsotto. Attraverso questa campagna, che è un atto di fiducia nei confronti della politica, vogliamo trasformare la grammatica dei diritti in pratica quotidiana. Anche perché, come recita la legge 125, la cooperazione internazionale è parte integrante della politica estera».

Un modo per dire che cooperazione e pace non sono semplici slogan o parole vuote. Per questo, puntualizza la prorettrice vicaria dell’Università Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi, serve investire soprattutto in «formazione» perché «sono le persone preparate e con un’adeguata “cassetta degli attrezzi”, da utilizzare nei mutevoli scenari che ci circondano, che possono fare la differenza».

 

 

E l’Italia? «Può avere un ruolo nel mantenimento della pace, condizione imprescindibile affinché tutti i popoli abbiano la possibilità di vivere una vita dignitosa?». Se lo chiede Marco Caselli, direttore del Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale dell’Università Cattolica (CeSi), rivolgendo l’interrogativo a chi da anni è politicamente impegnato a portare sotto i riflettori il tema della cooperazione. E che, in questa fase di emergenza, «corre il rischio di essere appannato», come lamenta monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale, ricordando la lunga tradizione in questo campo sia del cattolicesimo che del nostro Paese.

 

 

Purtroppo, «l’Italia spende poco e male in politica estera e diplomazia», sostiene Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Partito democratico. Eppure, la cooperazione è la chiave che il nostro Paese può avere per svolgere un ruolo globale nel contrasto alle disuguaglianze. «Se vogliamo veramente la pace dobbiamo però guardare non solo a quanto sta avvenendo nel confine tra Russia e Ucraina ma provare ad alzare lo sguardo verso l’Africa e il Mediterraneo», osserva Quartapelle. La pensa così Alfredo Mantica, politico di lungo corso, già viceministro del ministero degli Affari Esteri e attualmente vicepresidente di Fondazione Avsi. «Bisogna cominciare a far passare l’idea che la cooperazione non è un regalo ma un investimento e in quanto tale necessita di un piano, almeno triennale». Pertanto, «l’obiettivo dello 070 non deve essere solo un fatto contabile ma va accompagnato da un impegno politico concreto».

 

 

Ma il 24 febbraio 2022 ha segnato uno spartiacque nella storia dell’Europa. La sicurezza collettiva è messa in discussione. Dove collocarsi, allora, in questa epoca che Ulrich Beck definisce di «metamorfosi sostanziale»?  L’ambasciatore Pasquale Ferrara suggerisce di lavorare per promuovere una «politica dello sviluppo umano» che non si riduca alla semplice prospettiva della «sopravvivenza» bensì consenta di «vivere con dignità» e di «migliorare la propria condizione». In questo, la diplomazia con la sua «capacità connettiva» di generare processi, può essere decisiva. E l’Italia, apprezzata a livello internazionale per la sua capacità sviluppata dall’epoca di Marco Polo e di Matteo Ricci di mettere insieme contesti divergenti e di riannodare legami spezzati, può veramente svolgere un ruolo di facilitatore di pace. Insomma, «bisognerà ritornare alla diplomazia. Anche nel caso dell’Ucraina, dove non ci sono le condizioni visto che Putin sta facendo di tutto per rendere impossibile questo processo. Ciononostante, la soluzione diplomatica non solo è quella più praticabile ma è la migliore poiché tutte le alternative sono sicuramente peggiori».

Un articolo di

Katia Biondi

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti