News | AserIncontra
Artico, sconosciuto ma fondamentale
Il giornalista Marzio G. Mian ha presentato il suo nuovo libro-inchiesta che analizza l’importanza strategica delle zone polari
| Federica Farina
08 marzo 2023
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Sara Montinaro è una scrittrice e attivista politica, specializzata in violazione dei diritti umani, immigrazione e diritto internazionale umanitario; è stata procuratrice a Parigi presso il Tribunale Permanente dei Popoli sulla Turchia e il popolo curdo e ha lavorato con il giudice Essa Moosa in Sudafrica. Ha collaborato alla realizzazione di diversi progetti in Rojava (Siria del Nord-Est) e ha partecipato a missioni umanitarie nei Balcani, in Grecia, in Tunisia, in Cisgiordania-Palestina, in Turchia e nel Kurdistan iracheno. È stata lei, mercoledì 1° marzo, la protagonista del primo appuntamento del nuovo ciclo di ASERIncontra, la serie di eventi promossa dall'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali, e coordinata dal professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore ASERI. L’autrice ha presentato il suo volume intitolato “Daeş. Viaggio nella banalità del male”, in dialogo con il giornalista di La7 Carmelo Schininà.
L’occasione è servita per rimettere al centro dell’attenzione Stato islamico e terrorismo, due fattori che sono spariti dal panorama dell’informazione dopo la pandemia da Covid-19 e la guerra fra Russia e Ucraina. Come hanno più volte ricordato i partecipanti all’incontro, lo Stato islamico ad oggi – nonostante dichiarazioni arrivate da più parti nel 2018 – non è stato sconfitto e controlla ancora alcuni territori in maniera capillare. Il libro nasce proprio per raccontare il viaggio dell’autrice in alcuni di questi territori, fra Siria e Iraq, a seguito della Ong Mezzaluna Rossa Curda e si intitola, non a caso, “Daeş”, un termine ritenuto blasfemo e bandito da una fatwā ad hoc, in quanto serve ad indicare in modo dispregiativo proprio lo Stato Islamico.
La scrittrice racconta in particolare la figura della donna all’interno dell’Isis, non solo subalterna e vittima, come si potrebbe pensare, ma in alcuni casi capace di arrivare a posizioni di comando e prestigio. Una delle massime espressioni di questa dicotomia femminile si ha all’interno del campo di Al-Hol, nel Nord-Est della Siria, creato negli anni ’90 per accogliere i profughi iracheni e poi abbandonato, ritornato ad essere utilizzato nel 2018 dopo la battaglia di Baghuz, che segna la sconfitta militare dell’Isis. Nascoste in tunnel sotterranei della città, vengono trovate oltre 70mila persone, che vengono quindi fatte trasferire ad Al-Hol. Oggi ospita 51mila persone: accedervi è difficilissimo. Al suo interno si continua a propagare l’ideologia islamica, con donne rimaste fedeli al loro percorso che praticano decapitazioni, indottrinamenti e torture nei confronti di chi osa discostarsi dall’ideologia della jihad. Di base, lo Stato islamico ha una politica patriarcale e misogina – un chiaro esempio è la fatwā 64, ideata per legalizzare lo stupro – ma alcune donne sono riuscite a ritagliarsi ruoli di primo ordine, come reclutatrici o indottrinatrici.
Un esempio del tutto opposto a quello di Al-Hol è invece il Rojava, un territorio autonomo dove si sta tentando un tentativo di democraticizzazione mediante la promozione di valori come l'uguaglianza di genere, la sostenibilità ambientale e tolleranza religiosa. Un tentativo, per ora limitato, nella speranza che prima o poi possa essere diffuso alla Siria tutta.
Un articolo di
Scuola di giornalismo