NEWS | Stampa

Dal Watergate a WikiLeaks: il giornalismo d’inchiesta non muore mai

17 giugno 2022

Dal Watergate a WikiLeaks: il giornalismo d’inchiesta non muore mai

Condividi su:

La notte del 17 giugno 1972 cinque scassinatori furono colti sul fatto e arrestati nella sede del Comitato nazionale del Partito Democratico, al sesto piano del complesso edilizio del Watergate a Washington. Fu la scintilla che diede il via allo scandolo da cui sarebbe stato travolto il presidente repubblicano degli Stati Uniti Richard Nixon. E che determinò pesanti conseguenze non solo nella vita politica americana,  ma anche mutamenti nell’opinione pubblica e nel mondo dei media. A cinquant’anni dallo “scandalo del Watergate” Laura Silvia Battaglia, giornalista freelance e Direttore testate e Coordinatrice della Scuola di giornalismo della Cattolica, ci spiega l'importanza dello scoop di Bob Woodward e Carl Bernstein e come si è evoluto, oggi, il giornalismo d'inchiesta.


“La più alta carica dello Stato di fatto utilizza il sistema democratico per esercitare un potere personale e non al servizio dei cittadini.”

La politica americana ha iniziato a tremare la notte del 17 giugno 1972 al Watergate Hotel di Washington, quartier generale del Comitato nazionale democratico. Cinque uomini - Eugenio Martínez, Virgilio González, James W. McCord jr., Frank Sturgis e Bernard Barker - vengono sorpresi dalla polizia. La guardia giurata Frank Wills, indispettita dal nastro adesivo sulle serrature di una parte dell’edificio per non far chiudere le porte, ha allertato le forze dell’ordine. Il gruppo ha con sé degli strumenti per le intercettazioni, tra cui le microspie. È il primo tassello di un puzzle che, una volta completato grazie alla perseveranza di Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post, porterà il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ad annunciare le proprie dimissioni in diretta televisiva l’8 agosto 1974.

La giornalista freelance Laura Silvia Battaglia spiega come il lavoro dei due giornalisti non sia stato dettato da un colpo di fortuna, ma da un modo di operare che li ha portati ad avere pazienza ed aspettare i tempi giusti per pubblicare. Fondamentale per i due, l’abilità di gestire le fonti riservate.

Watergate: un punto di svolta nella storia degli Stati Uniti. L'analisi del prof. Gianluca Pastori

«Se non avesse avuto John Dean, quindi comunque qualcuno in grado di dare la cosiddetta ʹpistola fumanteʹ e quindi la prova che non era soltanto il partito, ma Nixon il responsabile di tutto quell’apparato di controllo e anche di corruzione che gli permetteva di entrare nel campo dei suoi nemici politici e spiarli, il Watergate sarebbe stato meno importante».

Battaglia aggiunge che questa inchiesta, oltre a fungere da insegnamento ai giornalisti, ha dato molto da imparare ai cittadini. Soprattutto quelli convinti che la democrazia sia il migliore dei mondi possibili: «Forse le democrazie sono dei mondi abbastanza perfettibili, ma non perfetti. Per questo motivo vanno sorvegliate e per questo motivo i giornalisti servono».

Un’inchiesta epocale come quella del Watergate è stata possibile grazie a due importanti presupposti, la possibilità per i giornalisti che se ne occupavano di avere a loro disposizione molto tempo e molto denaro. Il mondo del giornalismo è ormai cambiato e oggi sono pochissime le testate in grado di permettersi un tale dispendio di risorse. Questo però non implica la fine del giornalismo d’inchiesta.

Secondo Laura Silvia Battaglia il vero punto di rottura con le inchieste del passato è stato il caso WikiLeaks. «Si è passati da un concetto di giornalismo investigativo classico ad uno in cui per la prima volta l’online assumeva un ruolo primario». Se l’atteggiamento mentale dei giornalisti rimane lo stesso degli anni Settanta, oggi, però, le fonti segrete, le cosiddette “gole profonde”, sono attive su internet e dialogano con i giornalisti attraverso il web. Oggi abbiamo molti più strumenti di investigazione grazie anche alle nuove tecnologie. «Il modo migliore di fare inchieste – spiega - è utilizzando le fonti aperte online, quello che si chiama OSINT (Open source intelligence). Questa nuova tecnica si basa sul fatto che noi lasciamo tracce digitali ovunque. Anche le istituzioni più accorte le lasciano perché nella società di oggi siamo costantemente sovraesposti sul web.”

La giornalista continua: «Nell’online usiamo solo l’1% delle potenzialità che abbiamo. Se ci fosse maggiore conoscenza del digitale chiunque oggi potrebbe diventare un buon giornalista investigativo. Per questo motivo negli ultimi anni le inchieste più interessanti nascono proprio dalla collaborazione tra hacker e giornalisti, come quelle svolte da Bellingcat e Lighthouse report, in cui le professionalità si scambiano competenze e informazioni. Oltretutto oggi esistono nuove forme di finanziamento per il giornalismo d’inchiesta. Scandali come quello dei Panama Papers hanno coinvolto centinaia di giornalisti in tutto il mondo a livello internazionale, in una collaborazione che non aveva mai avuto precedenti».

«Negli ultimi anni – conclude Battaglia - sono nati consorzi internazionali fondati da giornalisti che ricevono finanziamenti da fondazioni che decidono di devolvere parte dei loro profitti per portare avanti un’ideale di democrazia e di rispetto di certi diritti, un po’ come quelli che fanno beneficenza. Questo sistema è attivo ormai da anni, basta sapere che esiste e basta comunque accettare di lavorare in un contesto molto differente da quello del passato».

Un articolo di

Riccardo Piccolo e Sara Fisichella

Scuola di giornalismo

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti