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Watergate: un punto di svolta nella storia degli Stati Uniti

17 giugno 2022

Watergate: un punto di svolta nella storia degli Stati Uniti

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La notte del 17 giugno 1972 cinque scassinatori furono colti sul fatto e arrestati nella sede del Comitato nazionale del Partito Democratico, al sesto piano del complesso edilizio del Watergate a Washington. Fu la scintilla che diede il via allo scandolo da cui sarebbe stato travolto il presidente repubblicano degli Stati Uniti Richard Nixon. E che determinò pesanti conseguenze non solo nella vita politica americana,  ma anche mutamenti nell’opinione pubblica e nel mondo del giornalismo. A cinquant’anni dallo “scandalo del Watergate” il professor Gianluca Pastori, docente di International History alla Facoltà di Scienze politiche e sociali, ci racconta come da quell’evento cambiò la storia USA e l’America non fu più la stessa. 


La vicenda Watergate ha segnato uno dei passaggi più significativi della storia politica statunitense. L’arresto, la notte del 17 giugno 1972, di cinque persone penetrate illegalmente nella sede del Comitato nazionale democratico nel complesso residenziale del Watergate, a Washington, mette, infatti, in moto una catena di eventi che, più di due anni dopo, l’8 agosto 1974, porta alle dimissioni di Richard Nixon e getta su un’intera classe politica un profondo discredito. Il contesto in cui lo scandalo scoppia è complesso. Dopo quasi vent’anni, l’impegno statunitense in Vietnam sta volgendo al termine (il 27 gennaio 1973 sarebbero stati firmati gli accordi di pace di Parigi), consegnando all’opinione pubblica l’“uscita onorevole dalla guerra” che il presidente aveva promesso all’epoca della sua elezione, nel 1968. Parallelamente, l’economia statunitense è entrata in una fase di forti difficoltà, con le prime avvisaglie della ‘grande inflazione’ degli anni Settanta, la crisi del sistema di Bretton Woods e, di lì a poco, l’inizio della lunga fase recessiva che comincia nel novembre 1973 e finisce nel marzo 1975.

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Richard Nixon (1913-1994) è un politico navigato. Vicepresidente nelle due amministrazioni Eisenhower (1953-61), era stato candidato alla presidenza nelle elezioni del 1960, vinte da John Fitzgerald Kennedy. Dopo un periodo di ritiro dalla vita pubblica, si aggiudica la nomination repubblicana nel 1968 e nelle elezioni del 5 novembre sconfigge di misura il candidato democratico, Hubert Humphrey (43,4 contro 42,7% nel voto popolare), in un confronto condizionato anche dalla scomoda presenza dell’indipendente George Wallace. Nonostante le tensioni sociali, le incipienti difficoltà economiche e la complessa gestione del dossier vietnamita, la popolarità del presidente si consolida durante il mandato, soprattutto presso la ‘maggioranza silenziosa’ di cui si era autonominato portavoce. Le elezioni del 1972 premiano l’amministrazione e Nixon è confermato alla Casa Bianca con il 60,7% del voto popolare: un risultato che è tuttora il migliore di un candidato repubblicano nella storia della presidenza moderna. Il suo sfidante, il senatore del South Dakota George McGovern, si ferma al 37.5%.

Questo consenso (che, nel gennaio 1973 è intorno al 68%) si sgretola rapidamente nei mesi successivi. I media (a partire dagli articoli di Bob Woodward e Carl Bernstein che sollevano i primi dubbi sul coinvolgimento dell’amministrazione nella vicenda) svolgono un ruolo centrale. Fra maggio e agosto, le audizioni della commissione d’inchiesta del Senato istituita nel febbraio precedente sono tramesse, a turno, dai tre maggiori network nazionali. Ampia diffusione hanno, inoltre, le trascrizioni (emendate) delle registrazioni effettuate alla Casa Bianca nei mesi precedenti, trascrizioni che, pur senza essere direttamente incriminanti, danneggiano pesantemente l’immagine del presidente. La diffusione delle registrazioni originali (rilasciate dalla presidenza dopo una pronuncia avversa della Corte suprema) indebolisce ulteriormente la posizione di Nixon e concorre a fornire gli elementi incriminanti che portano la Commissione giustizia della Camera dei rappresentanti ad adottare, fra il 27 e il 30 luglio 1974, tre articoli di impeachment per ostacolo alla giustizia, abuso di potere e ostacolo all’azione del Congresso.

Le dimissioni di Nixon (annunciate in un discorso televisivo la sera dell’8 agosto) sono la conseguenza ‘naturale’ di questa erosione della fiducia nel presidente, un processo che – come accennato – trae alimento anche dalla difficile congiuntura economica, dalle tensioni sociali, dal sempre più chiaro fallimento degli accordi di Parigi e dal progressivo indebolimento del ruolo internazionale degli Stati Uniti. Il venire meno del sostegno dei delegati repubblicani in Congresso (annunciato dai capigruppo in un colloquio privato alla Casa Bianca, la notte del 7 agosto) è un altro fattore rende le dimissioni inevitabili. Né queste, né il perdono concesso a Nixon dal suo successore, l’ex vicepresidente Gerald Ford (8 settembre 1974), frenano, tuttavia, gli effetti politici dello scandalo, che si faranno sentire, oltre che nel voto di midterm del 1974, nelle elezioni presidenziali del 1976, in cui lo stesso Ford sarà sconfitto da un relativamente sconosciuto Jimmy Carter anche per la capacità di quest’ultimo di dare all’elettorato l’immagine dell’‘uomo nuovo’, estraneo all’establishment e lontano dai vizi della politica di Washington.

Un articolo di

Gianluca Pastori

Gianluca Pastori

Docente di International History - Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica

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