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Dighe e coltivazioni per contrastare i prossimi monsoni

19 maggio 2023

Dighe e coltivazioni per contrastare i prossimi monsoni

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Le recenti alluvioni in Emilia-Romagna hanno coinvolto 41 comuni, causando un numero significativo di danni al territorio. Al momento quattordici persone hanno perso la vita, in migliaia sono stati evacuati e molti altri sono ancora dispersi. Inoltre, ci sono ancora più di 27mila persone senza corrente elettrica. La piena dei fiumi continua a rappresentare una minaccia e l'allerta rossa del meteo è stata prorogata anche per venerdì 19 maggio. In poco più di 24 ore, sono state registrate precipitazioni di 300 millimetri, una quantità di pioggia enorme che ha provocato l’esondazione di 23 fiumi, 280 frane e oltre 400 strade interrotte. Questo evento emergenziale ha causato una situazione di allagamenti diffusi nella regione provocando danni che si calcolano in miliardi di euro alle coltivazioni, soprattutto quella arboricola. La situazione si aggrava se si pensa che l'Emilia Romagna, soprattutto la porzione di pianura, è contraddistinta da terreni molto tenaci a tessitura fine. Questi terreni hanno una capacità di infiltrazione dell'acqua e una velocità di concentrazione molto limitata.

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Nonostante le difficoltà, gli sforzi dei soccorritori non si sono mai interrotti e hanno continuato incessantemente anche durante la notte, poiché la priorità assoluta è garantire la sicurezza dei cittadini. Solo due settimane fa, la regione era stata colpita da un altro pesante nubifragio, al termine di un periodo di forte siccità che si prolungava da ormai 18 mesi. Secondo tutti gli esperti è chiaro allora che eventi meteorologici così estremi e opposti, susseguitisi l’uno dopo l’altro in così poco tempo, abbiano un denominatore comune, ovvero il cambiamento climatico.

«Ci stiamo spostando verso un clima simile a quello tropicale, in cui avremo precipitazioni molto discontinue, ma al contempo molto forti», ha detto il professor Marco Trevisan, preside della Facoltà di Scienze Agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. E infatti per quanto riguarda la zona della Romagna «In due giorni e mezzo è caduta più del 50% dell'acqua prevista in un anno, ed è evidente che il sistema non è in grado di sopportarlo». Come conferma anche il professore Andrea Fiorini, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee alla Cattolica, «a differenza dei climi temperati, che hanno caratterizzato finora il nostro territorio, quelli di tipo tropicale si contraddistinguono per stagioni ben distinte: quelle secche, con carenza di precipitazioni e quelle umide, con piogge molto frequenti». Il cambiamento climatico «ha portato ad un aumento della temperatura dell'aria - prosegue il professore - rendendo più facile trattenere una maggiore quantità di vapore acqueo: questo fa sì che quando si verificano le precipitazioni queste siano molto più intense».

Per questo motivo è molto importante provare a porre rimedio a situazioni di urgenza come quella che stiamo vivendo, ma tenendo sempre presente che «andare contro natura è una cosa sempre molto difficile - commenta Fiorini. Infatti, allo stato attuale sarà molto complesso contenere questi fenomeni al 100%». Nonostante ciò, esistono alcune soluzioni che possono mitigare fenomeni a cui dovremmo sempre di più abituarci.

Secondo il professor Trevisan «il sistema migliore per contrastare il dissesto idrogeologico, causa delle inondazioni a cui stiamo assistendo, è la costruzione di dighe». Queste infrastrutture, infatti, oltre a mantenere controllato lo stato dei fiumi possono trattenere l'acqua utilizzabile nel periodo siccitoso. «Costruendo delle dighe in montagna è possibile trattenere l’acqua in eccesso, nel caso di alluvioni, e utilizzarla in un secondo momento per l'irrigazione». Oltretutto una soluzione del genere aiuterebbe nella transizione energetica, perché permetterebbe di produrre energia elettrica sostenibile da fonti rinnovabili, come è l'acqua. «Non è un caso che la zona di Ridracoli, dove c'è la diga sul fiume Bidente, sia stata una delle poche valli in cui non sono esondati fiumi», chiosa Trevisan.

Ma se è indubbio che sia necessario dimensionare le strutture di ritenzione, compresi gli argini dei fiumi, in funzione del flusso che ci dovremmo aspettare in futuro, bisogna anche lavorare a monte del problema.

Come ricorda Trevisan «è importante investire sulle zone collinari e montane della nostra nazione, in modo tale che gli agricoltori ritornino in montagna e facciano quella manutenzione del territorio che adesso non fa più nessuno». Questo perché negli ultimi anni l'Italia è diventata sempre di più un paese forestale, cioè con più terreno occupato da foreste che da coltivazioni. Questo fatto, che può sembrare positivo da un certo punto di vista si può rivelare anche negativo. Infatti, i terreni forestali lasciati allo stato brado e non tutelati sono territori ad alto rischio di frane e di drenaggio dei corsi d'acqua. «La cura di queste zone - continua il professore - deve essere appannaggio degli agricoltori che lavorano i terreni coltivandoli, stando attenti che l’acqua defluisca in modo corretto e raccogliendo le piante che muoiono». In poche parole, trasformano una foresta naturale in un bosco. Inoltre, aggiunge Fiorini “Se avessimo un’agricoltura con le specie erbacee e arboree opportune, con apparati radicali in grado di imbrigliare il terreno, questo farebbe sì che anche in caso di molte piogge il grado di smottamento e di erosione idrica del terreno, sia minore».

Come mette in risalto Trevisan «abbiamo avuto una cementificazione selvaggia che ha permesso di costruire in zone in cui non sarebbe stato opportuno farlo. Il vero errore è stato commesso nella pianificazione urbanistica». Bisogna comunque tenere presente che in molti casi questo non è successo perché si mirava a speculare sul territorio (anche se non mancano i casi in cui ciò è accaduto), ma perché non si pensava potessero accadere eventi di questa portata. «In pratica è stato calcolato che l'acqua con una piena ai massimi livelli può arrivare al limite fino a certi punti, che determinano un’area in cui è vietato costruire. Ma, ad esempio, poi ci sono stati due eventi piovosi, nel giro di tre anni, nel 2014 e nel 2017, che per portata d’acqua si verificano ogni 200 anni. Nessun sistema attuale è in grado di gestire tali fenomeni».

Ad oggi sono molte le regioni Italiane a rischio esondazioni. Ma, come conclude Fiorini, i punti più a rischio a parità di intensità di pioggia sono senz'altro le aree che si contraddistinguono per una pendenza maggiore, pensiamo ad esempio alle alluvioni in Liguria o sull'Appennino negli ultimi anni che hanno provocato notevoli danni a questi territori.

Un articolo di

Riccardo Piccolo

Scuola di giornalismo

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