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Dipendenti dall’Altro: la ferita che accompagna il nostro destino

25 agosto 2022

Dipendenti dall’Altro: la ferita che accompagna il nostro destino

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Ci sono la ragione, la tecnica e come diceva Nietzsche la capacità di promettere. Ma qualcos’altro definisce più radicalmente l’Essere Umano. Secondo Josep Maria Esquirol è l’apertura. Il professore di Filosofia dell’Università di Barcellona, come racconta anche nel suo ultimo volume “Umano, più umano” edito da Vita e Pensiero, ha sottolineato dal palco del Meeting di Rimini durante l’incontro “L’essere umano e la sua infinita ferita” come molte categorizzazioni dell’Uomo non tengano conto della ferita costitutiva del nostro essere.

«L’essere umano è aperto e il suo cuore è la possibilità di ricevere – ha detto Esquirol-. Siamo passivi, cioè in grado di ricevere e questa condizione permette la passione: non a caso la radice di questi due termini è la stessa». L’Uomo, quindi, è aperto non solo a qualcosa di concreto ma all’infinito: «C’è sicuramente l’infinitezza dell’amore ma anche il niente della morte. Anche la profondità del mondo è infinita. Per me l’umano è l’essere colpito da amore, morte e mondo».

L’Uomo è costituito prima di tutto da una domanda di senso sul suo destino ed essa genera una ferita poiché la risposta non è in mano nostra. Prendersi cura di questa domanda non significa fare di tutto per chiuderla, come diverse correnti di pensiero suggeriscono: «Di questo concetto discutevano già i greci antichi -ha confermato Esquirol durante il dialogo con Costantino Esposito, Professore Ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Bari-. Per me curare questa domanda significa accompagnarla».

Secondo Esposito il termine cura rischia di essere ambiguo perché può sottintendere una certa autoreferenzialità: «Potrebbe essere intesa come terapia mentre per me significa riconoscere che siamo rapporto con un Altro. La cura non è la moderazione del desiderio come inteso da Schopenauer, per evitare che la realtà ci illuda e disilluda. La cura è un Altro in noi».

Per Esquirol accompagnare l’umano significa saper coltivare i legami con l’Altro, con le persone e infatti nel suo pensiero il movimento umano fondamentale è rispondere a quello che ci accade: «La chiamiamo vocazione. È essere interpellati, provocati da qualcosa che sta succedendo. L’Uomo parla perché risponde, parlare bene implica un’azione e in essa emerge la comunione».

La cura del legame con l’Altro è lo strumento con cui possiamo dunque vivere la nostra umanità fino in fondo: «Immagino ogni persona umana come un piccolo tratto verticale precario sull’orizzonte della Terra -ha concluso Esquirol-, nessuna di queste linee può sostenersi da sola. È l’altro che mi consente di vivere e questo non è un difetto ma il dono più prezioso che consente alla nostra vita di avere un senso. È un mistero da cui emerge la passione dell’umano per l’umano».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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