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Serie tv: imperfezione e vuoti da riempire per generare empatia

24 agosto 2022

Serie tv: imperfezione e vuoti da riempire per generare empatia

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Ci sono personaggi e serie tv che diventano iconiche resistendo al tempo che passa. Il loro segreto è essere come noi e raccontare storie in cui ci sentiamo coinvolti e immedesimati. Lo hanno mostrato bene lo sceneggiatore americano Neil Landau e il docente di Semiotica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Armando Fumagalli dialogando al Meeting di Rimini durante l’incontro “Eroi fragili. Noi, le storie e il fascino delle serie tv”.

Ma per generare empatia, cioè il vero segreto di una buona storia, non basta più raccontare di eroi perfetti che sconfiggono il male: è la complessità umana, con le sue contraddizioni, a rendere interessante una serie tv. Un esempio? Tony Soprano, un assassino che però va in terapia e prende Prozak ma che allo stesso tempo è padre e marito. Oppure Dottor House: un misantropo fenomenale a curare i pazienti che spesso detesta: «Noi ci identifichiamo con questi personaggi perché nel corso del tempo vediamo quanto siano vulnerabili e pieni di difetti -ha spiegato Landau-. L’uomo per sua natura cerca di nascondere le proprie vulnerabilità perché prova vergogna. Ha paura di non essere accettato. Le persone, non solo i personaggi, devono lottare per superare le prove della vita. L’empatia è questo: riconoscere che noi tutti lottiamo per superare dei problemi».

Creare un legame con i protagonisti di una storia porta lo spettatore a sperimentare il punto di vista di Dio: «Quando uno sceneggiatore lavora bene ci fa provare misericordia per i personaggi, anche quando sbagliano -ha confermato Fumagalli-, pensiamo al film Amadeus: Salieri fa una serie di cose sbagliate ma noi abbiamo capito perché le fa e gli vogliamo bene lo stesso. Questa capacità di scrittura aiuta i fruitori di narrazioni profonde e sofisticate ad avere uno sguardo più ricco e articolato sull’umanità. Dall’altro lato, senza concetti etici saldi, uno spettatore rischia quasi di dimenticare il male: al termine de “Il Padrino” quasi non ci si ricorda di quante persone ha ucciso Michael Corleone per difendere la sua famiglia».

Sono le emozioni suscitate dai dettagli e dal contesto in cui si rappresentano gli avvenimenti di una serie tv a creare empatia: «Pensiamo a Breaking Bad -ha ribadito Landau-, qui i fatti non hanno senso rispetto al legame pubblico-personaggio. Walter infrange la legge e compie molti crimini mentre Skyler non fa nulla di sbagliato. Eppure ci leghiamo di più a Walter perché emotivamente riconosciamo come vicini a noi i motivi per cui spaccia metanfetamina».

Oltre alla complessità di un soggetto l’empatia viene suscitata dal cammino che il protagonista fa all’interno del racconto: «Non conta il plot ma l’evoluzione del personaggio -ha proseguito Fumagalli- egli è un vuoto da riempire. Deve affrontare sfide e problemi per raggiungere la pienezza, compiersi. In alcuni casi riesce, in altri no».

La diffusione di prodotti seriali sempre più pensati per pubblici di nicchia ha permesso agli sceneggiatori di creare personaggi sempre più articolati e complessi: «L’influenza delle serie tv americane sta cominciando a farsi sentire anche sulla scena italiana – ha concluso Fumagalli-, penso a “Diavoli” o a “Doc: nelle tue mani”. Sono prodotti davvero ben fatti, che rispetto ai lavori americani cercano di mettere in scena protagonisti più propositivi e meno cinici. Sono segnali interessanti dell’evoluzione della serialità italiana. Trattandosi di un settore in forte crescita sarebbe bello avere più persone disposte a raccontare la loro visione della vita, della famiglia o del perdono. Ci sarà sempre più bisogno di storie che aiutino a esplorare il mondo e vivere intensamente la sintesi della vita di qualcuno, perché è questo che facciamo raccontando storie».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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