Ha accolto i suoi assassini con il sorriso e con un semplice “Me l’aspettavo”.
Il 15 settembre di quest’anno ricorrono i 30 anni dalla morte di don Pino Puglisi, il sacerdote che ha impegnato gli ultimi tre dei suoi 56 anni di vita a fianco dei ragazzi del quartiere Brancaccio di Palermo. Il suo sorriso è il seme che molti anni dopo ha portato il frutto del pentimento a Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, i due mafiosi che gli hanno sparato segnando la fine di un’opera coraggiosa ed efficace ma lasciando anche la traccia indelebile di una testimonianza esemplare per tutta la società civile.
La figura di don Puglisi, beatificato nel 2013, è stata ricordata nell’incontro “Amicizie inesauribili. Don Puglisi, la testimonianza del martirio” durante la giornata di apertura del Meeting di Rimini, lunedì 21 agosto.
Salvatore Taormina della redazione culturale del Meeting che ha moderato l’incontro, ha iniziato proprio parlando del sorriso di don Pino, quel sorriso che «aveva dentro una forza dirompente, una profondità e una fecondità colte anche dal genio poetico di Mario Luzi che aveva dedicato al sacerdote il suo Il fiore del dolore». “Un sorriso che ci raggiunge come una luce gentile che scava dentro e rischiara il cuore”, per dirla con Papa Francesco.
La testimonianza di Vincenzo Morgante, direttore di TV2000 e Radio Inblu, ha toccato la folta platea con il racconto dell’intervista che, dopo mesi di attesa, Morgante riuscì a realizzare con don Puglisi appena prima dell’omicidio. Il sacerdote «era nel pieno delle minacce intimidatorie, il clima era molto pesante - ha raccontato il giornalista -. Mi accolse con il sorriso, mi fece vedere il centro che stava ristrutturando grazie ai fondi ricevuti dal cardinal Pappalardo, allora arcivescovo di Palermo, e quando gli chiesi cosa avrebbe voluto dire al bimbo appena nato di cui mi ero accorto vedendo un nastro azzurro su una porta, don Pino mi disse: “Dobbiamo dire a quel bambino che c’è un posto per lui nel mondo, nella libertà e nella legalità”».
Anche monsignor Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, ha ricordato l’incontro personale con don Pino che nel 1988 era responsabile del centro regionale per la pastorale vocazionale, mentre lui era prete solo da un anno. «Quando il cardinal Pappalardo lo assegnò a Brancaccio e gli fu chiesto di mantenere il doppio incarico, con la sua mitezza che era anche capacità di decisione e fortezza, don Pino disse che quella parrocchia l’avrebbe molto impegnato e che non avrebbe avuto tempo per altro».
Erano gli anni in cui «a Palermo il messaggio cristiano aveva una forza dirompente per togliere il potere dal basso al potere mafioso - ha aggiunto il magistrato Antonio Balsamo, autore di Mafia. Fare memoria per combatterla edito da Vita e Pensiero -. Don Pino voleva includere, non giudicare. Si rivolse ai detenuti di Brancaccio per dire che a Natale li aspettava al “Centro Padre Nostro”. Quello è stato il punto di non ritorno. In quel momento la mafia si è posta contro la Chiesa».
Don Pino Puglisi è stato ucciso per spezzare il suo tentativo di risanamento sociale che passava attraverso la società civile e che distruggeva il consenso sociale della mafia.
«Durante il processo per la strage di Capaci abbiamo ascoltato i suoi assassini. Grigoli iniziò la narrazione dicendo “Ho ucciso un santo”. Spatuzza spiegò di aver iniziato a collaborare con la giustizia nel 2008 dopo aver ascoltato a Messa la citazione di don Puglisi a proposito del Signore che non forza mai nessuna decisione, e dopo 11 anni di 41 bis, fondamentali per il suo percorso».
«Don Pino non avrebbe accettato la definizione del prete antimafia perché lui era pro Vangelo» - ha continuato monsignor Lorefice. Quando andai a visitare al cimitero don Pino, mi colpì la citazione di Giovanni 15,13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, la stessa che avevo notato sulla tomba del cardinal Romero e su quelle di alcuni missionari in Congo. Ecco, come dice bene suo fratello “Don Pino era un prete cristiano e un cristiano prete”. La sua era una presenza messianica. Aveva fatto le Magistrali perchè era un educatore, sapeva tirar fuori dall’altro il senso della vita. In lui c’è l’istanza evangelica distillata, la certezza che noi seguiamo un Gesù di Nazareth che è il Messia della Storia che riscatta».
Per questo don Pino faceva paura. Voleva la scuola media e un centro sociale per animare la società. E la sua forza nel combattere la mafia arrivava dal suo amore per Cristo. La sua frequentazione del Messia della storia, dell’Eucarestia e delle scritture si è tradotta in parole e azioni viscerali e misericordiose, condivisibili da uomini e donne. Ecco perché al grido “Convertitevi!” che Giovanni Paolo II nel 1993 rivolse ai mafiosi, si accompagna l’esortazione alla conversione che Papa Francesco scrive in una lettera rivolta alla diocesi di Palermo che sta per celebrare i 30 dalla morte di don Puglisi.
L’impegno culturale è il vero fattore di cambiamento che oggi riguarda tanto la criminalità organizzata quanto la diffusione del traffico di stupefacenti che, come ha concluso Balsamo, «è molto pericoloso. La mafia ha la capacità di cambiare faccia rimanendo sempre sè stessa».