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Aldo Moro, i giovani e una amicizia viva

26 agosto 2023

Aldo Moro, i giovani e una amicizia viva

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Le visite dei giovani universitari romani di CL alla Farnesina in eskimo. Le foto in spiaggia in giacca e cravatta, o in Lapponia con le renne vestito come se fosse a un convegno. Le lezioni di Diritto Penale mai perse, a costo di ritardare un consiglio dei ministri. A unire tutto una passione autentica per l’uomo, per la politica, il dialogo e i giovani. Dopo aver ascoltato le testimonianze dei relatori di “Aldo Moro, i giovani e noi: un’amicizia viva” al Meeting di Rimini sembra quasi di averlo conosciuto personalmente il grande statista, leader della Democrazia Cristiana e cinque volte Presidente del Consiglio, assassinato dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978.

Merito delle testimonianze di Agnese Moro, figlia del politico originario di Maglie, di Saverio Allevato, responsabile della comunità universitaria di Comunione e Liberazione che muoveva i suoi primi passi nella Roma degli anni 70, e del professor Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, autore de Il Caso Moro. Una tragedia repubblicana (Il Mulino, 2018).

«Mi ricordo di quel giorno di marzo del 1973 al primo convegno nazionale di Cl universitari - ha detto Saverio Allevato, già responsabile Cattolici popolari-Roma -: volle sedersi con tutti i ragazzi, stette tutto il tempo ad ascoltare e a prendere appunti e se ne andò via come era venuto, con molta semplicità. La cosa che mi emoziona di più dopo 50 anni è che il professore Aldo Moro trattata dei ragazzi come noi, che eravamo ragazzi po’ strani, con eskimo e blue-jeans, come se fossimo le persone più importanti della sua vita. Ascoltava tutti, chiedeva come andavano gli studi, se avevano problemi o altro».

 

Secondo Giovagnoli Aldo Moro va ricordato non come uomo di palazzo ma come vero uomo del popolo, animato da una autentica passione per le persone che lo circondavano: «Quando avevano una trentina d'anni ha dato un contributo fondamentale durante l’Assemblea Costituente e si rapportava direttamente a figure come Togliatti, La Pira, Nenni, Calamandrei; aveva una capacità di sintetizzare le posizioni più diverse, di trovare i punti di convergenza, con fatica. Riusciva a costruire dei ponti giuridici e politici, ma per fare questo serviva una umanità, quella che avvicina gli esseri umani. Gli altri riconoscevano questa profonda autorevolezza».

Per Agnese Moro, che all’epoca del sequestro di suo padre aveva appena 25 anni, «Mio padre è stata una persona che ha creduto nella forza e nella potenza della parola. Fiducia nella parola che è poi fiducia nella politica. Mi colpiva tanto la sua dedizione al lavoro: non mi ricordo un solo giorno di festa in cui non ci sia stato anche lavoro. Questo per me è sempre stato un mistero: come si fa a essere dediti tutti i giorni della tua vita? Non era una dedizione bacchettona, c'era qualcosa di più. La risposta, secondo me, si trova in tre aspetti che lui viveva profondamente: l'eredità di una speranza, un debito verso i giovani e i suoi coetanei che non erano riusciti a sopravvivere alla guerra e l'affetto per le persone. Era mosso dal desiderio di condivisione di questa speranza e dalla capacità di vedere la speranza anche in un disastro come il 68».

Aprendo il dialogo il giornalista di Avvenire Angelo Picariello aveva sottolineato che l’incontro avrebbe raggiunto il suo scopo solamente se avesse detto qualcosa di utile per i nostri giorni. Il ritratto di un uomo, raccontato attraverso la diretta testimonianza di chi ha vissuto al suo fianco in casa, università e nelle istituzioni ha restituito non un ricordo avvolto nella nostalgia ma un’esperienza viva, che tanto ha da dire al nostro tempo e che i relatori hanno invitato a raccontare e diffondere il più possibile. L’applauso scrosciante alla conclusione racconta meglio di mille parole il raggiungimento dell’obbiettivo.

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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