Ventitré anni mi separano dal giorno di settembre in cui, da solo nel chiostro di Sant’Agnese, un diciannovenne ansioso attendeva il turno per immatricolarsi a Lingue. Un secolo fa: tutto fisico, niente online, file alle segreterie e le informazioni sulla facoltà raccolte telefonicamente o con il passaparola. Ce la farò a finire gli studi? Ogni cosa mi sembrava fuori dalla mia portata. Ma era la mia grande occasione per uscire dal nido di una famiglia che mi stava stretta. Venivo dalla provincia e Milano era l’ipotesi di un altro me. Solo due anni dopo, nel 2000, la decisione di trasferirmici: una scelta che si rivelò la migliore mai presa. L’università intanto si faceva più familiare e le prime vere amicizie della vita - quelle nate nelle aule - si consolidavano. Dopo gli anni di un’infanzia non semplice, mi sentivo sereno: una serenità che, ammetto, oggi mi manca. Dopo la laurea son tornato tante volte tra i chiostri. Lo faccio ancora oggi, quarantaduenne, senza motivo. Mi piace soprattutto soffermarmi in alcuni punti: una panchina lungo gli ambulacri di largo Gemelli dove una chiacchierata con gli amici mi restò nel cuore, la mensa che era il luogo d’incontro con Alessio, il cortiletto di Morozzo dove io, Alex e Quadz ridemmo come dei pazzi un pomeriggio di luglio. E poi le ore sui libri a casa di Ke, che mi ringraziò nella tesi per averla aiutata negli studi… Sento un filo di malinconia mentre scrivo, e così ogni volta che passeggio per Sant’Ambrogio. Non so se quell’Andrea del 1998 sarebbe soddisfatto di ciò che sono adesso. Avrei potuto fare di più, e meglio. So però che quelli sono stati gli anni più belli, importanti e formativi di tutta la mia vita. Un ragazzo spaventato è oggi un uomo forse un po’ disilluso, ma sicuramente più sicuro di sé. Grazie Cattolica.
