Ma molto c’è ancora da fare e in tanti casi è facile eludere la normativa se si pensa che l’accesso a queste piattaforme, così come per i social, è vietato ai minori di 13 anni ma di fatto basta dichiarare un’età fasulla per entrare. Tra l’altro, è stato verificato che, quand’anche l’età dichiarata fosse inferiore, il robot continua a proporre contenuti non appropriati e sempre più espliciti. Il minore non può certo concludere un contratto validamente, eppure online tutto è fattibile anche se poi annullabile perché le società violano le norme relative all’età dei minori e all’utilizzo dei dati. In Italia in particolare l’age verification non esiste ma occorre intervenire con urgenza, gli strumenti esistono e anche gli enti certificatori sia pubblici sia privati.
Ha condiviso e rimarcato questa necessità Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro che, nell’esporre i dati dell’ultima ricerca “Tra realtà e metaverso”, ha messo in evidenza il problema dei rischi e della sicurezza online per i minori. Pur intervenendo tempestivamente dopo ogni segnalazione, il child sexual abuse e il cyberbullismo sono fenomeni preoccupanti per i quali è necessario fare di più.
«I bambini sono sempre più connessi, sempre più precocemente in età prescolare e in modo più immersivo (in media tre ore al giorno) e i dati che forniscono alle diverse piattaforme e aziende aumentano - ha dichiarato Caffo -. Inoltre, nella rete i bambini costruiscono una propria identità che può essere rubata e falsificata. Occorre, quindi, un’attenzione sempre maggiore all’ascolto dei bambini per renderli più consapevoli dei diritti che hanno nella rete».
A fronte di queste considerazioni si apre anche il tema delle competenze digitali sottolineato da diversi relatori durante il convegno, che riguarda la privacy, l’empatia digitale, la gestione della cybersicurezza e del cyber bullismo.
Come ha sottolineato Milena Santerini, docente di Pedagogia generale in Università Cattolica e coordinatrice di Mediavox, Osservatorio sull’odio online «è importante rendere coscienti i ragazzi dell’ipnosi delle immagini, dell’effetto gregge, degli aspetti cospiratori, del ruolo degli algoritmi. Il web è un habitat favorevole per la violenza tra bambini (cyberbullismo, revenge porn) perché l’emotività è spesso più legata all’indignazione e alla rabbia che non all’emulazione del bene. E gli adulti che scatenano l’hate speech non sono un buon esempio».
Dobbiamo imparare a vedere i bambini e gli adolescenti come “spettautori”, ovvero consumatori, fruitori e produttori di contenuti al tempo stesso. Secondo la docente si aprono tre sfide sul web oggi: riusciremo a trasformare in un processo solidale i contenuti del gaming che ora propone soprattutto video giochi basati su violenza, guerra, uso della donna strumentale? Il metaverso apre nuovi scenari ma l’isolamento sociale e l’invasione nella privacy profonda dei ragazzi sono dietro l’angolo. Sapremo trovare un equilibrio? L’intelligenza artificiale è spesso usata per copiare i compiti. Troveremo il modo di delimitare il confine tra realtà virtuale e realtà? Un punto, quest’ultimo, condiviso da Annamaria Tarantola, presidente Fondazione Centesimus Annus Pro Pontefice, intervenuta al convegno per ribadire l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa che mette al centro di ogni azione e di ogni relazione il rispetto per la persona umana.
La realtà del digitale non lascia scampo. Anche i titoli in borsa si sono concentrati sull’intelligenza artificiale. Il tema d’ora in poi non sarà se accettare o meno di interfacciarsi con l’intelligenza artificiale, ma in che modo. Dati alla mano raccolti nel settembre 2020, Giovanna Mascheroni, docente di Sociologia dell’Università Cattolica, ha riportato che il 46% delle famiglie italiane con bambini piccoli (0-8 anni) aveva uno smart speaker e che il 30% dei bambini interagiva con Alexa, smart toys, dispositivi indossabili, oltre che con smartphone, tablet e pc.
Silvia Castagna, responsabile Relazioni istituzionali e Key clients, BVA Doxa, riferendosi ai dati emersi dalla ricerca su 800 ragazzi tra i 12 e i 18 anni e 800 genitori, ha spiegato che sia genitori sia ragazzi sono d’accordo rispetto alla pericolosità della rete e se circa la metà dei minori si è trovato in situazioni spiacevoli c’è una consapevolezza da parte dei ragazzi della preoccupazione dei genitori che, pur essendo connessi in media 2,3 ore al giorno (non molto meno dei figli) si sottovalutano rispetto alle competenze digitali e quindi amplificano le paure. Inoltre, come ha sottolineato Mascheroni, i genitori sono rassegnati alla sorveglianza, non si preoccupano della profilazione dei bambini attraverso i dati raccolti da questi strumenti.
Un altro rischio su cui riflettere è quello finanziario. Come gli adulti, anche i minori che entrano nelle piattaforme di e-commerce possono acquistare, attratti anche dalle rateizzazioni offerte senza interessi. E questo vale anche per l’acquisto dei bit coin (il 15% degli utilizzatori ha meno di 15 anni!). «Si tratta di attività molto rischiose perché non hanno un valore intrinseco, e non c’è una regolamentazione che tutela questi servizi finanziari a cui sono esposti gli adolescenti» - ha detto Alessandra Staderini, vice capo servizio Educazione finanziaria in Banca d’Italia.
La necessità di un’educazione digitale degli adulti, e degli educatori in particolare, è emersa chiaramente in molti degli interventi del convegno, tanto che nelle conclusioni Giuseppe Riva, direttore dello Humane technology Lab, l’ha riconosciuta come «l’idea su cui puntare per guidare i giovani verso comportamenti corretti. E l’Università, quale centro educativo, ha il compito di dare linee guida».