Il centro congressi Mazzocchi della sede piacentina dell’Università Cattolica non aveva un posto a sedere libero, tanti erano gli studenti che hanno partecipato al seminario “Dire… Fare… Includere! Verso la valorizzazione delle unicità” organizzato da Scienze della formazione. Davanti a loro Elio, al secolo Stefano Belisari, frontman del gruppo Elio e le Storie Tese, e Nico Acampora, fondatore di PizzAut, la pizzeria gestita da ragazzi autistici, mentre l’attrice Sabrina Paravicini si è collegata da remoto. Entrambi, Elio e Acampora, sono padri di due ragazzi con disturbo dello spettro autistico e condividono l’opinione che alle famiglie con figli che hanno una disabilità «manchi tutto quello di cui hanno bisogno».
«Parlare della disabilità è importante - dice Elio - ma non può bastare, bisogna passare ai fatti».
Il messaggio arriva nell’incontro organizzato in Università Cattolica, che ha voluto dare voce a chi vive vicino a persone con disabilità. «Con questo incontro abbiamo inteso dare voce a chi è sul campo - dice la docente Elena Zanfroni - occorre il contributo di tutti per fare in modo che l’inclusione sia un obiettivo che riguardi ognuno di noi, in tutte le età della vita e non qualcosa che finisca con la scuola». «Quando quest’ultima ha termine - continua - c’è ancora tanto da fare per quanto riguarda il mondo del lavoro delle persone più fragili e il “dopo di noi” per trasformare la vita di tutti in qualcosa che abbia un valore. Noi vogliamo trasmettere la necessità di un impegno comune, di tutti, poco importa ragionare sulla rilevazione precoce delle difficoltà dei bambini o dei ragazzi, se poi c’è il vuoto».
Il vuoto, appunto. «Se ricevi una diagnosi o se hai il dubbio che tuo figlio sia affetto da autismo - dice Elio - non sai dove sbattere la testa. Non esiste niente di istituzionale, neppure un ente che conti i casi di autismo, che costruisca statistiche su cui intervenire». Un esempio di questo vuoto, Elio e Acampora lo portano quando si chiede loro cosa serva a una famiglia con figli disabili: «La risposta è semplice e breve» dicono: «Manca tutto». Acampora porta un esempio: «La diagnosi precoce è un mantra a cui siamo abituati. La diagnosi avviene a 2 anni, ma la presa in carico a 6. Per 4 anni la famiglia ha la diagnosi in mano e si dispera da sola, perché nessun servizio è in grado di farsene carico. Davvero c’è bisogno di tutto». «Serve un percorso - aggiunge Elio - persone come Acampora si occupano del cammino dei ragazzi quando sono in età da lavoro. Manca tutto quello che viene prima del lavoro».