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Esiste una banlieue milanese?

27 luglio 2023

Esiste una banlieue milanese?

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San Siro è uno dei quartieri di edilizia residenziale pubblica più grandi di Milano. Fu costruito tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, conta seimila alloggi, undicimila abitanti e rappresenta la porzione significativa di un panorama più ampio, nella quale risiedono i più poveri rispetto al resto della città.

A questa realtà Paolo Grassi, ricercatore e antropologo dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha dedicato il libro “Barrio San Siro: interpretare la violenza a Milano” (FrancoAngeli editore): a partire da una concezione relazionale dello spazio urbano interpreta la violenza strutturale che colpisce i margini del capoluogo lombardo e sviluppa un'analisi multilivello che collega le pratiche quotidiane alle politiche locali, regionali e nazionali. San Siro, emblematico quartiere milanese, emerge come una configurazione multiculturale, incrocio di interessi divergenti di attori sociali e istituzionali, dal quale è possibile elaborare una idea di antropologia della città proprio a partire dal limite urbano costituito da povertà e sperequazioni sociali.

Su questi temi il 5 luglio si è svolto un seminario organizzato dal Dipartimento di Sociologia, al quale hanno partecipato docenti, ricercatori e dottorandi introdotti e moderati da Francesco Calderoni di Transcrime, Università Cattolica.

La relazione introduttiva è stata affidata proprio a Paolo Grassi il quale si è soffermato sul quartiere San Siro inteso come una periferia non geografica ma «come un quartiere “indietro” rispetto a certe dinamiche di sviluppo, povero e profondamente stigmatizzato, descritto in modo negativo: quartiere dei terroni, casbah o favela milanese, anche se oggi il termine più indicato (alla luce dei disordini di questi giorni in Francia) è quello di banlieue per indicare l'area periferica dei grandi agglomerati urbani dove vivono ragazzi stranieri, luogo di rivolta giovanile». Peraltro, secondo Grassi, «è il quartiere della “super diversità” perché vivono persone di quattro nazioni diverse, vi è una geografia composita che vede una componente anziana, per lo più italiana, e una più giovane componente straniera che esprime maggiore fragilità, dato che parliamo di giovani nati in Italia ma con difficoltà di integrazione e inclusione, ragazzi con vicende di dispersione scolastica o con accessi a lavori precari, per cui diventa utile capire come lavorare con tali giovani». 

Su questo aspetto è intervenuto Marco Granelli, assessore alla sicurezza del Comune di Milano, che ha messo in guardia da progetti finalizzati allo sviluppo del quartiere ma senza continuità e quindi destinati al fallimento o a produrre frustrazione. Per l’assessore a San Siro occorre svolgere un lavoro strutturato sul mondo giovanile e adolescenziale, ripensando un sistema che oggi vede gli adolescenti soli, in una condizione difficile e poco integrata col mondo adulto. «Occorre dare continuità a tali relazioni, creando sinergie ed evitando conflitti. Tante azioni, pur positive, risultano tra loro scollegate e saltuarie, e non strutturano il percorso dei giovani».

Sulla base di tali interventi i ricercatori e dottorandi che hanno preso la parola hanno indicato, in base ai loro studi, quali possono essere gli interventi o gli ambiti utili a migliorare la socialità del quartiere. Sono state tante le proposte che hanno animato il dibattito su temi di grande rilievo, tra cui l’azione educativa, la (in)sicurezza a Milano con il fenomeno della violenza delle gang, le social street per costruire relazioni di prossimità reale e di socialità fisica a partire dai social.

 

 


Foto di Adrian Balasoiu su Unsplash

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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