A 200 anni dalla nascita, il numero 4 della rivista Vita e Pensiero ha pubblicato tre analisi sull'influenza del grande scrittore russo sulla letteratura mondiale ma anche sulla filosofia, sulla teologia e sugli aspetti nichilistici della nostra cultura. Nonché sul suo rapporto con Cristo, non riducibile a una morale. La riflessione su "Cristianesimo, morale e spirito umanitario" del professor Adriano Dell'Asta, docente di Lingua e letteratura russa all’Università Cattolica. Gli altri due contributi sono a cura del cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e di Sergio Givone, professore emerito di Estetica presso l'Università di Firenze.
«È possibile ridurre tutta l’essenza del cristianesimo al solo spirito umanitario? Sono forse scopo del cristianesimo l’armonia universale e la prosperità sulla terra, raggiungibile dal progresso naturale dell’umanità? Infine, si può ricondurre il fondamento della vita e dell’attività cristiana al solo amore? […] Il cristianesimo non crede né nella morale individuale autonomistica dell’uomo né nella ragione collettiva dell’umanità che dovrebbe prima o poi creare il paradiso sulla terra. Anche Dostoevskij non credeva in niente di simile. Se anche era un moralista […] la sua morale non era autonomistica […] ma cristiana, fondata sulla conversione e sulla rinascita religiosa dell’uomo»; e in effetti, prosegue poco oltre lo stesso testo, la fede di Dostoevskij su null’altro era fondata se non sulla «divinità del Falegname nazareno crocifisso sotto Ponzio Pilato». Questo breve ma inequivocabile giudizio ci indica il cuore della concezione morale e religiosa di Dostoevskij, formulata in poche parole da un interprete assolutamente autorevole e fedele come Vladimir Solov’ëv, il più grande filosofo russo e grande amico dello stesso Dostoevskij.
Così appare del resto la posizione di Dostoevskij, dalla ripresa della sua carriera letteraria, dopo gli anni della galera in Siberia, quando, nel 1854, legando tutto il proprio destino alla fi gura di Cristo, scrive alla signora Fonvizina: «Mi sono formato un simbolo di fede in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo simbolo di fede è molto sempli ce, eccolo: credere che non v’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo; e non solo non c’è, ma con amore geloso io mi dico che nep pure può esservi. E non basta; se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità». E così è alla fine di questa stessa carriera quando, in una serie di appunti del 1880-1881, polemizzando con Konstantin Kavelin (1818- 1885), un pubblicista di indirizzo positivista, che aveva sostenuto che la moralità consistesse nella coerenza con le proprie convinzioni, Dostoevskij ripeteva per l’ennesima volta questo stesso atto d’amore e di affidamento a Cristo: «Tutte le idee di Cristo possono essere contestate dall’intelletto umano e sembrano impossibili da realizzare. Porgere l’altra guancia, amare gli altri più di se stessi. Ma scusate, perché tutto questo? Io sono qui sulla terra per un attimo appena, e l’immortalità non esiste, [vivrò] dunque per il mio ventre e basta…
Porgere l’altra guancia, amare gli altri più di se stessi, non perché è utile, ma perché mi piace, di un senso che brucia sino alla passione. Cristo si sbagliava, è stato dimostrato. Ma quel senso che brucia mi dice: preferisco restare con l’errore, con Cristo, piuttosto che con voi. […] È morale solo ciò che coincide col vostro senso della bellezza e con l’ideale in cui voi la incarnate». Impressionante accostamento di affermazioni “scandalose” e apparentemente “irragionevoli”: in effetti, mentre si parla di morale e si proclama la propria appartenenza a Cristo, non può che apparire scandaloso, o per lo meno contraddittorio, sostenere che le idee di Cristo sono irrealizzabili e che «è stato dimostrato» che «Cristo si sbagliava»; e ancora più sorprendente appare, mentre si fa questa affermazione, approfondirne addirittura lo scandalo buttando lì l’ipotesi che Cristo (di cui si è appena detto che non v’è nulla di «più ragionevole») sia «fuori della verità» e la verità sia «fuori di Cristo». Eppure, al di là della prima impressione, queste affermazioni sono tutt’altro che ingenue o frutto di un fi deismo ormai improponibile, e rispondono invece a una sfida che è estremamente attuale, tanto più in un mondo nel quale la verità o si impone a chi la pensa in maniera diversa, con una violenza che non ammette nessuna legittimità all’altro, oppure semplicemente non esiste e ciascuno, come abbiamo sentito più volte in questi mesi, fa quello che vuole, godendosi la vita secondo quello che crede.