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«Il Sacro Cuore ha infiammato l'animo dei protagonisti di una grande sfida educativa»

09 giugno 2021

«Il Sacro Cuore ha infiammato l'animo dei protagonisti di una grande sfida educativa»

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La Festa del Sacro Cuore celebrata nel contesto del centenario di vita del nostro Ateneo si riveste di significati particolari. In primo luogo di gratitudine per tutto quello che in questi cento anni di storia il Sacro Cuore ha saputo realizzare. Era infatti profonda convinzione dei fondatori e, ci auguriamo che lo sia anche per noi oggi, che il protagonista indiscusso di questa grande impresa fosse proprio il Sacro Cuore. La dedica a Lui di questa istituzione accademica non era considerata una pura intitolazione, per altro da molti non compresa e ritenuta non appropriata, ma la prima e fondamentale risorsa da cui tutto nasceva e a cui tutto doveva ispirarsi.

Abbiamo già ricordato lo scorso anno l’espressione con cui Armida Barelli contrassegnava ogni passaggio, soprattutto i più ardui e difficili, quando raggiungere certi obiettivi pareva impossibile. Dalle sue labbra sempre partiva il solenne e incrollabile affidamento: “Sacro Cuore mi fido di te!”. Sono tanti gli episodi che abbiamo ricordato e che potremmo ancora ricordare, ma su tutti ce n’è uno che viene raccontato da P. Gemelli con particolare commozione. Riprendo quanto scriveva nell’introduzione al libro di Imma Corsaro dedicato alla Barelli poco dopo la sua morte (Vita e Pensiero, Milano 1954, pp. XXV-XXIX). P. Gemelli ricorda prima l’acceso dibattito che ci fu al momento della decisione inziale sulla dedicazione al Sacro Cuore e le opinioni contrastanti, anche all’interno del Comitato, per concludere: «la battaglia fu vinta esclusivamente per il coraggio e per la fede della Signorina Barelli». Racconta poi di quando nel 1924 si recarono dal Santo Padre Pio XI per valutare i diversi aspetti connessi al possibile riconoscimento civile, tanto atteso e desiderato. Si trattava, su richiesta del Gentile, che in fondo sosteneva il riconoscimento, di modificare profondamente l’articolo uno dello Statuto - quello che ancora oggi definisce il nome e le finalità dell’Ateneo -, perché molti nel governo, in parlamento e nel mondo accademico mal digerivano una tale configurazione. Andarono da Pio XI Gemelli, Necchi e Barelli. Il verbale andò distrutto nei bombardamenti, ma ci resta la narrazione vivissima di Gemelli che oggi vale la pena riascoltare. «Lunga discussione; alla fine della quale sul nobile volto del Papa vidi passare il sereno, il cruccio, l’affanno, le speranze, le nubi nere, che ruppe dicendo: “Il bene di veder riconosciuta la nostra cara Università come università libera, e di rompere una vecchia tradizione, è tale e tanto grande, che è prudente accettare il Consiglio del Gentile, tanto più che si è impegnato, come Presidente, a condurre il Consiglio ad approvare lo Statuto”. Aveva appena finito di parlare, che la signorina Barelli scoppiò in singhiozzi senza dire verbo; le lagrime le bagnavano il volto; tutti eravamo commossi; non osavamo parlare; lei sola tra le lagrime con voce rotta disse, dopo aver calmata la prima emozione: “Padre Santo, noi faremo ciò che lei deciderà; ma la prego considerare ancora: questo articolo (modificato) conserverà in futuro il carattere cattolico dell’Università? […] Noi tutti avevamo le lagrime agli occhi e le aveva anche Pio XI. Nuovo e più lungo silenzio. Poi (riprende la parola il papa): “È vero; ha ragione la Signorina Barelli; è la voce della fiducia nel Sacro Cuore che parla in lei; accetto il suo parere; bisogna pensare anche all’avvenire; perciò affrontiamo la battaglia; lei, Padre, vada, riferisca e io domattina celebrerò la S. Messa perché sia fatta la volontà di Dio. Il Gentile ascoltò, commosso anche lui, il mio racconto della udienza pontificia e disse: “tentiamo la battaglia”». E la battaglia, diversamente da ogni previsione, fu vinta.

Ho letto questa pagina perché è sempre utile fare memoria delle nostre radici spirituali e del coraggio che hanno avuto Pio XI e i fondatori nel non scendere a compromessi. Lo hanno fatto perché hanno pensato all’avvenire dell’Ateneo, cioè anche a noi oggi. Siamo davvero grati di questa testimonianza che ci aiuta anche ad affrontare sfide certamente diverse ma non meno complesse come le verifiche Anvur o le negoziazioni per il Policlinico Gemelli all’interno del sistema sanitario nazionale senza rinunciare alla nostra identità e facendo valere ciò che ci contraddistingue.

Ricordare quanto hanno fatto i fondatori e la fede che li ha animati è anche il modo più bello e grato per prepararci a celebrare la prossima beatificazione di Armida Barelli. Questo episodio è solo uno di migliaia che segnano il cammino del nostro Ateneo e in cui è possibile leggere chiaramente la benevolenza divina e l’amore privilegiato del Sacro Cuore che ha infiammato l’animo di tanti professori, alunni, personale tecnico amministrativo, divenuti protagonisti di una grande avventura educativa che continua a sorprendere e di cui non finiamo di stupirci.

Una storia a cui possiamo facilmente applicare le parole della prima lettura. Il profeta Osea racconta attraverso immagini piene di tenerezza con quanta premura Dio ha guidato e fatto crescere il suo popolo: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare…». Così ha fatto e continua a fare con il nostro Ateneo, accompagnandoci passo dopo passo. Il Sacro Cuore si è preso cura di questa sua creatura, l’ha nutrita, l’ha guidata, l’ha corretta quando era necessario, l’ha resa libera e l’ha fatta crescere oltre ogni previsione. Ripercorrendo il cammino del nostro Ateneo, anno dopo anno, non è difficile leggere i segni di questa speciale benevolenza divina che è scritta sui volti, nei cuori e dentro le storie delle persone, ma anche nello sviluppo e nella progressiva affermazione di questa amata istituzione accademica.

E il Sacro Cuore, come ben sappiamo, non è un’etichetta ma un vero e proprio “programma scientifico”. Non crediate che sia un’affermazione bizzarra o una forzatura. È sostanzialmente quanto dice San Paolo nella seconda lettura quando ci invita a lasciare che la Sapienza Divina abiti nel nostro cuore e illumini tutta la nostra vita: «Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio».

Quanta conoscenza c’è nel nostro Ateneo, nel curriculum dei professori, nei programmi dei corsi, nelle tesi di laurea, nelle biblioteche, nelle pubblicazioni…? Eppure tutto questo è ben poca cosa se non fosse orientato a scoprire, approfondire e narrare la conoscenza che supera ogni conoscenza! Ci è chiesto, quindi, di coltivare una conoscenza che non dimentichi mai la centralità dell’essere umano, la sua dignità, il suo valore, il suo destino soprannaturale; una conoscenza che affronti con grande fiducia unita ad attento discernimento le novità scientifiche e tecnologiche, dal digitale ai big data, dalle neuroscienze fino alla cibernetica; una conoscenza che non perda mai di vista il primato della carità e la necessità di provvedere in modo giusto e solidale alle necessità dei più bisognosi; una conoscenza che non abbia paura di riconoscere il primato di Dio e di rendergli gloria valorizzando i doni stupendi dell’intelligenza, gli insegnamenti della storia e l’impegno profetico per il presente e per il futuro. Questo vuol dire coltivare una conoscenza che vada oltre ogni conoscenza. Nulla viene sottratto al desiderio umano di sapere ma tutto è sempre ricondotto ad un sapere più alto e più grande secondo lo spirito che Dante ha saputo in modo stupendo immortalare nella “orazion picciola” di Ulisse ai suoi compagni per esortarli ad andare oltre il già conosciuto: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» (Inferno, XX, 18-20)

Un invito affascinante che diventa quanto mai sfidante per un Ateneo che conta oggi 5 sedi, 12 Facoltà, 100 corsi di laurea, 45.000 studenti, il migliore ospedale d’Italia e una miriade di apprezzate iniziative accademiche, culturali ed educative. Tutti percorsi che ci auguriamo siano ispirati sempre da una sincera e appassionata ricerca delle verità ultime e del senso pieno della realtà. Ce lo chiedono anche l’incalzare degli eventi, come la pandemia e la ripresa, e l’impellente necessità di dare risposte a problemi e sfide che domandano soprattutto speranze certe e visioni coraggiose. Sviluppare una conoscenza a servizio della verità, sia nel suo palesarsi nelle dinamiche esistenziali sia nel suo emergere dalla ricerca intellettiva e dall’apertura trascendente, è il compito più rilevante per chi ha una missione educativa e vuole contribuire davvero al cammino dell’umanità. Lo ricorda con particolare insistenza papa Francesco nell’ultima enciclica Fratelli tutti: «Una società è nobile e rispettabile anche perché coltiva la ricerca della verità e per il suo attaccamento alle verità fondamentali. […] Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano» (nn. 207-208).

Celebrare il Sacro Cuore significa essere ancora oggi, nello specifico della nostra missione accademica, espressione di una Chiesa che è chiamata ad illuminare le menti, orientare le coscienze, fornire le competenze utili a costruire il futuro. Lo slogan che ci accompagna in queste celebrazioni del centenario: “un secolo di futuro”, traccia già una chiara prospettiva di impegno e ci invita a fare tesoro del passato per affrontare con più decisione ciò che ci sta davanti. Siamo per molti versi la frontiera avanzata di una comunità ecclesiale che non smette di cercare la verità, che alimenta la fraternità e il dialogo, che costruisce vie efficaci per la solidarietà e la pace tra i popoli, che alimenta nelle nuove generazioni speranze non illusorie ma concrete e operose.

Tutto questo era già ben presente nei programmi e nelle aspettative dei fondatori. Quanto scriveva P. Gemelli nella relazione finale del primo anno di vita dell’Ateneo nel giugno del 1922 conserva tutta la sua attualità e profezia e può costituire ancora un valido riferimento per quanto andremo a costruire negli anni avvenire. «Divina è l’opera affidata a noi; e per questo la nostra Università è stata intitolata al Sacro Cuore. Non è questo un semplice nome che distingue questo Istituto da un altro, così come si potrebbe distinguere un collegio da un altro con il nome del suo patrono. L’Università è intitolata al Sacro Cuore, perché il suo programma è la collaborazione all’instaurazione del regno sociale del Sacro Cuore anche in Italia, è il contribuire a far sì che da tutti sia amato e servito N. S. Gesù Cristo, che è il nostro Salvatore e il nostro Redentore. E, poiché la base della società del domani saranno i suoi dirigenti e saranno le dottrine alle quali questi si ispireranno, così possiamo dire che in questo grande compito la nostra Università rivendica a sé il primo posto, primo nel sacrificio, primo nel dovere, primo nel lavoro e primo anche nell’amore che è condizione di quelli» (Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, vol. 1 p. 29).

Con questo fiducioso affidamento al Sacro Cuore l’Università Cattolica è nata, con questo anelito è cresciuta, con questa ricchezza umana, scientifica e spirituale possa continuare la sua missione a servizio dei giovani, della Chiesa e della società, meritando e legittimando sempre più quel “primo posto” che già un secolo fa Gemelli intravvedeva. Amen.

Un articolo di

Mons. Claudio Giuliodori

Mons. Claudio Giuliodori

Assistente ecclesiastico generale di Ateneo

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