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Gaia Violo, Hollywood al master Unicatt

08 gennaio 2021

Gaia Violo, Hollywood al master Unicatt

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Gaia Violo, appena passato il giro di boa dei trent’anni, è oggi una delle professioniste italiane di maggior peso a Hollywood. Ha bruciato le tappe di una carriera che si preannuncia lunga e più che luminosa: molti sceneggiatori americani metterebbero la firma nel raggiungere al termine della carriera quello che lei ha già nel suo carnet in pochi anni di intenso lavoro. La creazione di una serie thriller originale (Absentia, da noi su Amazon, giunta ormai alla terza serie), il lavoro a una serie di prime time per CBS, Blood & Treasure, venduta in molti Paesi del mondo, e una nuova serie per Netflix, che verrà girata nel 2021. Inoltre, per due anni ha lavorato alla Disney, nel settore cinema che sviluppa nuovi film da property come La bella e la bestia o Il re leone

Avevamo raccontato i primi promettenti passi professionali di Gaia - che dal 2007, cioè da quando era ancora al Liceo classico, in Sicilia, ha un contatto ormai consolidato con la Cattolica e le sue attività (cfr articolo di Cattolicanews). Ora l’abbiamo intervistata in occasione della giornata di sei ore di lezione che ha tenuto agli allievi del Master in “International Screenwriting and Production”. 

Sono state sei ore molto intense, in cui Gaia si è messa al servizio degli studenti raccontando il mondo delle mitiche writers room hollywoodiane, i segreti di un pitch efficace, dando preziosi consigli, e rispondendo con grande umiltà, unita a equilibrio e sincerità: risposte profonde, mai banali, che venivano da dentro, da una esperienza maturata e meditata in uno dei mondi professionali più difficili e competitivi che esistano.
Gentilissima, delicata, molto fine nei modi, Gaia in realtà ha scritto finora per generi apparentemente molto “maschili” come il thriller, la fantascienza, l’azione, ma si nota che la sua attenzione ai personaggi dà una dimensione di profondità a quello che scrive, il che forse spiega qualcosa della marcia in più che la fa “vincere” proprio in questi generi.

Gaia, la tua carriera sta andando a gonfie vele. Non hai mai avuto momenti di difficoltà o di crisi? «Sì, ovviamente molte volte. La mia passione per le storie è iniziata guardando insieme a mio nonno i film di Hitchcock, e anche per questo mi piacciono i thriller. Ma da bambina ero anche molto timida, e sentivo la scrittura come un po’ un super-power, era il mio modo di sentirmi vista e ascoltata. Ma non è sempre stato facile. Quando ho iniziato l’Università allo University College London, ho fatto tesoro di una frase di un mio professore: “You are in the pool, ormai sei in acqua, imparerai a nuotare nuotando”. Non importa quanto ci sentiamo in gamba, o preparati, o pronti per una sfida. Affrontare situazioni sconosciute è come salire su una bici per la prima volta… un paio di cadute sono normali e quasi necessarie prima di trovare l’equilibrio. Per questo credo sia importante essere comprensivi e gentili con sé stessi. Ho visto tanti giovani scrittori abbandonare perché hanno ricevuto un colpo dalla vita e non sono stati capaci di accettarlo».

Che cosa significa essere una straniera a Hollywood? «Di per sé non è un ostacolo insuperabile. Se l’idea è buona, la sceneggiatura valida, e a loro piace, ti danno una chance. E inoltre pensa sempre che stai portando qualcosa di nuovo, un punto di vista specifico e universale al tempo stesso. Questo ovviamente non significa che uno debba necessariamente scrivere storie italiane. Più che altro cerco di scrivere ciò che conosco emotivamente, come persona». 

In effetti uno dei consigli che si sentono più spesso è quello di scrivere “da dentro”, scrivere di cose che si conoscono… «Absentia è la storia di un’agente dell’FBI che è rapita da un serial killer e quando è liberata viene accusata di omicidio. Che cosa c’è che conoscevo? Conosco, come molti, le emozioni viscerali di trovarsi in situazioni spiacevoli e il bisogno di trovare una via d’uscita e un nuovo inizio. Il mio consiglio è di raccontare sentimenti e verità personali, l’esperienza umana che si nasconde nelle situazioni uniche, specifiche e inusuali delle tue storie, che siano thriller, sci-fi, etc. E ovviamente un po’ di fortuna aiuta. Tante serie sono scritte bene, ma non vengono girate. Sono grata che ad Absentia sia stata data questa possibilità».

Il prossimo passo sarà diventare una showrunner? «Lo showrunner è un lavoro di grandissima complessità e per il quale serve tanta esperienza. Non è solo il capo scrittore, ma direi che è per il 60% producer e 40% sceneggiatore. Deve decidere chi fa parte del team di scrittura, è responsabile che le sceneggiature siano ben scritte e consegnate in tempo, scrive note e fa revisioni finali e riscritture. Ma lo showrunner è anche responsabile del casting, e deve andare sul set. Per questo a Hollywood si dice che al cinema il regista è Dio, mentre in TV è lo showrunner.  Nella televisione i registi spesso vanno e vengono. È lo showrunner che dà stile, continuità, ecc. e fa una supervisione anche della postproduzione».  

È possibile, in mondo così esigente e competitivo, mantenere un equilibrio con la vita privata? «Sì, è possibile. Ed è importante anche perché se non hai una vita “fuori” non hai niente di cui scrivere. Il “chi sei” nella tua vita influenza moltissimo quello che scrivi e come scrivi. Il nostro non è un lavoro egoistico: stiamo cercando di comunicare qualcosa a un pubblico, anche se da lontano perché mentre scriviamo non c’è ancora.  Certo, ci vuole molta auto-disciplina. Io non sono per nulla il tipo festaiolo, e passo molti week-end a casa a scrivere… Inoltre si ricevono molti no, e questo può scoraggiare, ma basta un sì per svoltare. Certo, è anche vero che se vuoi avere successo ai livelli più alti, qualcosa devi sacrificare… specialmente se diventi uno showrunner». 

La maggiore lezione imparata in questi anni? «“Bend, don’t break”: piegarsi senza spezzarsi. È un mondo dove gli alti sono molto alti e i bassi sono molto bassi… quindi imparare a non prendere le cose sul personale, essere molto pazienti con se stessi. Aiuta ricordarsi che sei più della singola sceneggiatura. Se una non va, puoi scriverne una seconda, una terza o una quarta. L’altra cosa fondamentale è circondarsi di persone a cui vuoi bene e ti vogliono bene, di amici, non essere soli. Non abbandonare troppo facilmente se il successo non arriva presto, quindi. Ma d’altra parte occorre ovviamente anche valutare i feedback che arrivano, per capire se il nostro lavoro è di qualità. Ho imparato quello che gli americani chiamano trust the process».  

Visto che sei nel cuore dell’industria creativa che manda contenuti in tutto il mondo, vedi una qualche linea, un trend, per quello che vedremo nei prossimi anni? Verso dove sta andando il mondo delle serie Tv? «Tendo a non pensare in termini di trend, anche perché sono imprevedibili e impersonali. Scrivo di emozioni e temi che mi stanno a cuore, di personaggi in cui mi vedo o che omaggiano persone vere che conosco e meritano di essere sullo schermo, anche se trasportate in trame thriller, d’azione o sci-fi. Il mondo delle serie TV deve rappresentare il mondo reale nella sua diversità, bellezza e complessità. Mi auguro rispecchi questo sempre di più».  
 

Un articolo di

Eleonora Recalcati

Eleonora Recalcati

tutor del Master in International Screenwriting and Production

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