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Gen Z, tra paura di fallire e voglia di futuro

13 ottobre 2025

Gen Z, tra paura di fallire e voglia di futuro

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Altro che “generazione social”, come spesso vengono etichettati con superficialità, gli adolescenti di oggi vivono ogni giorno un conflitto silenzioso tra la paura costante di fallire, il bisogno urgente di essere riconosciuti nella propria complessità e la ricerca di alternative e spazi di speranza.

È quanto emerge dall’indagine condotta da Ipsos per l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo, che sarà presentata il prossimo sabato 18 ottobre durante il panel “Emozioni: oltre Inside Out. Dare voce a ciò che sentono le nuove generazioni”, nell’ambito della terza edizione di “Parole a Scuola”, giornata di formazione gratuita rivolta a insegnanti, genitori, organizzata da Parole O_Stili, associazione che da anni si impegna a contrastare il fenomeno della violenza delle parole off e online, con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto Giuseppe Toniolo.

La ricerca, condotta su un campione rappresentativo di 815 adolescenti italiani tra i 14 e i 19 anni, attraverso la metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview), restituisce un quadro approfondito e articolato del rapporto tra i giovani, l’empatia, la speranza e l’attenzione ai valori morali, aspetti in psicologia ritenuti centrali per lo sviluppo personale e per una partecipazione consapevole alla vita sociale.
«Il messaggio che emerge dal nostro studio è che gli adolescenti non chiedono di essere protetti da ogni difficoltà, ma di essere riconosciuti nella loro fatica e di essere ascoltati. Hanno bisogno di figure di riferimento e di comunità di senso che sappiano accompagnarli nel percorso di crescita, senza ridurli a etichette di “successo” o “fallimento” – spiega Elena Marta, professoressa di Psicologia sociale e di Comunità all’Università Cattolica e membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo –. Dietro la fragilità c’è anche un desiderio di riscatto e di futuro. La speranza, sostenuta dalla capacità di immaginare percorsi alternativi e dalla motivazione interna, rappresenta la risorsa su cui lavorare per costruire interventi educativi efficaci a sostegno dei nostri ragazzi e ragazze».

«Questi dati non parlano solo della Gen zeta, ma anche di noi adulti. Ci ricordano che il nostro sguardo su di loro, le parole che usiamo, la fiducia che sappiamo trasmettere fanno la differenza. Spesso li vediamo fragili e disinteressati ma dietro c'è un tesoro nascosto di sensibilità e di voglia di costruire il futuro che aspetta di essere trovato – aggiunge Rosy Russo, presidente e fondatrice di Parole O_Stili –. È nostro compito creare spazi in cui questo valore possa emergere. Ma non è semplice. Parole a Scuola, con l’aiuto di docenti, professionisti dell’educazione e della comunicazione, proverà ad essere questo: un supporto a chi ogni giorno accompagna i più giovani nella loro crescita». 

La ricerca 

Un esercizio di speranza: i ragazzi vogliono farcela

La speranza, secondo la teoria di Snyder, viene intesa come una disposizione stabile che combina due aspetti: la dimensione di pathway, ovvero la capacità di immaginare vie alternative per raggiungere i propri obiettivi, e la dimensione di agency, cioè la forza motivazionale che sostiene l’impegno per realizzarli. Nonostante il clima sociale spesso scoraggiante, gli e le adolescenti italiani mantengono un buon livello di speranza attiva, (pathway) e motivazione interna (agency) per raggiungere i propri obiettivi. Le medie registrate sono 3,61 per la dimensione pathway e 3,52 per agency, su una scala da 1 a 5. Significativo il dato per fascia d’età: i più giovani (14-16 anni) risultano più propositivi (media pathway 3,66) rispetto ai coetanei più grandi (3,54). Non emergono invece differenze di genere. 

Fallire fa paura. Soprattutto a scuola e soprattutto alle ragazze

Il timore del fallimento è diffuso e pervasivo tra gli e le adolescenti. I punteggi medi rilevati oscillano tra 2,4 e 2,9 su una scala da 1 a 5, con il valore più alto legato alla paura di provare vergogna e imbarazzo dopo un errore, seguita dalla svalutazione di sé e dal timore di deludere le persone significative. Minore, ma comunque presente, il timore di diventare impopolari. Le differenze di genere sono marcate: le ragazze riportano livelli più elevati di paura rispetto ai coetanei maschi. Anche l’età incide: i 17-19enni vivono il fallimento con maggiore intensità rispetto ai 14-16enni, soprattutto in relazione alla scuola, contesto in cui un insuccesso è percepito non come evento circoscritto, ma come giudizio complessivo sul proprio valore.
A essere percepita come luogo di giudizio più che di crescita è la scuola, dove un brutto voto può diventare un’etichetta più che un episodio. 

Il linguaggio ostile come barriera emotiva

Il linguaggio ha un peso enorme nella costruzione dell’autostima e dell’identità tra gli e le adolescenti. Commenti sprezzanti, voti umilianti, frasi pronunciate online o offline possono diventare microscopiche violenze quotidiane, che lasciano segni profondi nell’autostima.
In questo senso, la scuola diventa un osservatorio privilegiato di come le parole agiscono. Un voto negativo, una verifica andata male, possono trasformarsi in etichette che restano. Da qui la difficoltà a gestire l’errore e il ricorso, come meccanismo di difesa, ad atteggiamenti di indifferenza o arroganza. Ma dietro l’apparente disincanto, i dati rivelano una grande vulnerabilità: un bisogno di linguaggi educativi capaci di riconoscere, sostenere e valorizzare.

I liceali più sotto pressione rispetto ai tecnici e professionali

Un dato controintuitivo riguarda il benessere percepito in base al tipo di scuola frequentata. Studenti e studentesse dei licei sembrano vivere più pressione rispetto a chi frequenta istituti tecnici o professionali. Il motivo? Maggiori aspettative di riuscita e minore tolleranza verso la fatica personale.

Empatia e valori morali: non tutto è perduto

La ricerca ha anche analizzato quanto gli e le adolescenti attribuiscano importanza a diversi principi morali, attraverso la scala di moral foundation relevance, che si concentra su cinque dimensioni.
Contro ogni stereotipo, la generazione Z dimostra buoni livelli di empatia e una forte attenzione ai principi morali. I valori più sentiti sono: “prendersi cura/non arrecare danno” (4,61 su 6), “giustizia (4,58 su 6)”, “purezza e integrità personale”, (4,51 su 6). Le ragazze e i più giovani (14-16 anni) risultano i più sensibili nei confronti di questi valori. Anche l’empatia – sia affettiva (il sentire con l’altro) che cognitiva (il capire l’altro) – è più sviluppata nelle ragazze e nei più giovani (14-16 anni). 


Foto di Tim Mossholder su Unsplash
 

Un articolo di

Redazione

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