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Genocidio, parola che lotta contro l'orrore

06 aprile 2022

Genocidio, parola che lotta contro l'orrore

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Una data addomestica il tempo rendendolo lo spazio in cui memorie individuali e collettive si incrociano. Oggi cade l’anniversario del genocidio del Rwanda, iniziato il 6 aprile del 1994. Non a caso la settimana conversazione organizzata da Progetto Genesi ci aiuta a riflettere sul crimine più atroce che l’umanità possa commettere. A riavvolgere il filo della storia Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e Paola Gaeta, docente in Diritto internazionale del Graduate Intistitue di Ginevra.

Un viaggio iniziato nel 1944, quando l’avvocato polacco Raphael Lemkin coniò il termine fondendo i termini genos ed excidium e dando un volto a un crimine che fino allora non aveva connotati definiti. Tuttavia la parola non assunse un valore giuridico in tempo per il Processo di Norimberga, che infatti incriminò i gerarchi nazisti per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il termine ottiene una validità giuridica nel 1948: «Grazie all’attività di Lemkin venne adottato nel testo della convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio, che è ancora oggi lo strumento di riferimento per il diritto internazionale» spiega Gaeta.

La parola “genocidio” esercita ancora oggi una notevole forza nell’immaginario collettivo ma spesso si presta ad abusi: «La definizione giuridica accettata dalla Convenzione del 1948 non richiede la distruzione di un gruppo per parlare di genocidio. Basta che venga provata l’intenzione di distruggere gruppi etnici, nazionali, raziali o religiosi. Questo tecnicismo mostra come siano distanti l’uso comune del termine e la sua applicazione giuridica. Noi usiamo il vocabolo per indicare stragi di massa ma sono qualificabili come tali anche crimini meno rilevanti dal punto di vista numerico».

La convenzione protegge categorie etniche, religiose, razziali e nazionali ma non include gruppi sociali o politici perché si è ritenuto che questi quattro insiemi siano oggettivi e non soggetti a mutamenti nel tempo: «Nel 1948 la comunità internazionale non era così variegata come oggi ed erano presenti ancora stati dichiaratamente razzisti o colonialisti -sottolinea Gaeta-. La giurisprudenza ha provveduto a superare questa concezione prendendo in considerazione la costruzione identitaria di un gruppo attraverso la percezione degli individui che lo compongono. È il caso del Rwanda, dove Tutsi e Hutu in realtà fanno parte dello stesso gruppo etnico e la loro divisione è avvenuta in base al censo per una scelta politica colonialista».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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