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Giovani e Covid, tra significato e sfide aperte sul futuro

17 marzo 2022

Giovani e Covid, tra significato e sfide aperte sul futuro

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Dare alla vita coerenza, valore, obiettivi, ovvero un significato. Durante la pandemia i giovani sono riusciti a percepire questo significato e ad applicarlo alla visione del loro futuro?

Si sono posti questo interrogativo i ricercatori di Psicologia che hanno condotto lo studio “Giovani&Covid: alla ricerca di un significato” presentato al convegno di venerdì 18 marzo, Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di Coronavirus. Le rilevazioni sono state effettuate nei dieci mesi tra aprile 2020 e febbraio 2021, ossia nel periodo di massima emergenza caratterizzato dai diversi lockdown. I giovani hanno particolarmente sofferto le conseguenze delle misure di restrizione ma hanno saputo attivare processi di meaning-making per far fronte alla pandemia da Covid-19. 

La ricerca, coordinata dalle responsabili scientifiche Semira Tagliabue, docente di Psicometria, e Michela Zambelli, dottoranda, ha proprio voluto studiare il processo di attribuzione di significato alla vita (meaning-making process) nei giovani adulti. In particolare, i partecipanti allo studio sono stati 654 giovani tra i 18 e i 37 anni (età media di 25,8 anni) e lo studio ha raccolto le loro percezioni in tre passaggi chiave: quello dal primo lock-down alla riapertura a maggio 2020, la riapertura delle attività economiche ed educative a settembre 2020, e il primo anniversario della diffusione della pandemia in Italia, a febbraio 2021. 

I partecipanti sono stati reclutati nelle diverse province lombarde in modo da rappresentare sia le zone più colpite nei primi giorni della pandemia (province in zona rossa: Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi) per un totale del 57,9% del campione, sia le zone meno colpite (province zona gialla: Milano, Monza-Brianza, Lecco, Sondrio, Como, Varese), rappresentate dal 40,2%. Il campione, composto per il 72,5% da partecipanti di genere femminile, ha incluso sia giovani lavoratori o tirocinanti (65,4%) sia studenti (34,6%). Tra i partecipanti, il 60,1% viveva con la propria famiglia di origine al momento della raccolta dati, ed il 61,4% era coinvolto in una relazione sentimentale. 

«I partecipanti hanno risposto ad una serie di questionari online che indagavano tre temi centrali: il processo di costruzione di significato nella vita (meaning-making), il benessere dei giovani, e le strategie messe in campo durante la pandemia - ha dichiarato la psicologa Tagliabue -. Abbiamo preso in considerazione il livello micro che rappresenta il processo costruzione di significato giorno dopo giorno, e il livello macro che mappa il cambiamento sul lungo periodo e sottolinea le differenze tra sottogruppi della popolazione».

Relativamente al livello micro è emerso che nei giorni in cui accadevano eventi positivi (per esempio un amico li chiamava, avevano una buona notizia rispetto al loro lavoro, il nonno tornava a casa dall’ospedale ecc.) i giovani si focalizzavano maggiormente sia nel percepire la presenza di significato sia nell’attivare la ricerca dello stesso. Nei giorni in cui accadevano eventi negativi (non potevano vedere in videochiamata i genitori, litigavano con il partner, non venivano selezionati per un master), invece, percepivano poco senso nella propria vita, ma non si attivava la ricerca dello stesso. 

Per quanto riguarda il cambiamento a lungo termine, invece, (prospettiva macro), le analisi hanno evidenziato come esistano tre gruppi di giovani adulti che percepiscono livelli diversi di presenza e ricerca di significato. Il gruppo più ampio è stato chiamato i searchers. Esso include il 47,1% dei giovani intensamente ingaggiati nella ricerca di significato nella vita ma che percepiscono un livello di presenza di significato più basso rispetto alla media; il gruppo di giovani che presentano un profilo opposto è stato chiamato i fulfilled (16,8%) e rappresenta i giovani con una alta percezione di significato nella vita ed una bassa attivazione della ricerca; infine, gli in-between (36,2%), ovvero giovani a metà strada tra la ricerca e la presenza di significato, costituiscono il terzo gruppo. 

«La maggior parte dei giovani (83,3%), dunque, non percepisce un’alta presenza di significato della vita (ovvero percepisce la propria vita come poco dotata di coerenza, valore e obiettivi futuri), ma è immersa nel processo della sua ricerca - ha dichiarato Tagliabue -. Inoltre, nel corso dei dieci mesi, i giovani del gruppo in-between si spostano soprattutto nel gruppo dei searchers».

La percezione del futuro di tutti i giovani del campione, a prescindere dal gruppo di appartenenza, è diventata più negativa nel tempo. Tuttavia, esistono differenze nella percezione del futuro in base ai gruppi dei giovani identificati: i giovani searchers hanno mostrato una visione più negativa sul futuro rispetto ai fulfilled. Questi ultimi, in un certo senso, sono protetti dai loro alti livelli di presenza di significato.

Il convegno di venerdì 18 marzo prevede anche due tavole rotonde a cui parteciperanno le docenti dell’Ateneo Elena Marta (Psicologia sociale), e Margherita Lanz (Psicometria), insieme ad alcuni enti del territorio che hanno fortemente contribuito alla diffusione dell’invito a partecipare alla ricerca nel territorio lombardo come l’Associazione Mosaico e il Comune di Lecco.

Interverranno poi gli stessi giovani che hanno partecipato allo studio e che hanno dato il loro contributo personale durante la pandemia, creando iniziative per rispondere ai bisogni e per condividere le emozioni suscitate. Saranno ascoltati “BeNexThere”, “Lime Education”, “Visiere AGO”, “Aspè… non ti muovere!”, “Vest.ile” e “1000 Voci per Bergamo”. 

Il lavoro di ricerca e di analisi di questi due anni è stato raccolto nella pagina Giovani&Covid. Due anni dopo e sulla pagina Instagram @giovani.e.covid è possibile seguire tutti gli aggiornamenti.
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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