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Hate speech, capire per agire

14 dicembre 2020

Hate speech, capire per agire

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Capire per agire: analizzare il linguaggio d’odio online per trovare il modo di contrastarlo e riportare la rete a essere il luogo in cui si realizza il sogno di un mondo connesso/grande rete di fraternità. È questo il tema attorno a cui ruota il primo webinar organizzato da MediaVox, l'Osservatorio sull’odio online promosso dal Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali dell’Università Cattolica, in collaborazione con l’ufficio comunicazioni sociali della Cei e Retinopera.

 

L’hate speech è infatti un fenomeno sempre più diffuso sul web, le cui cause sono complicate da comprendere e ricostruire. «C’è, però, un dato su tutti - ha ricordato Vincenzo Corrado, direttore dell’ufficio comunicazioni sociali della CEI - cioè la perdita dell'identità. Ci si rifugia nell'anonimato perché si è persa quella capacità di sentirsi partecipi di un progetto comune. Si è smarrita la compassione verso l'altro, specie se diverso».

 

E quello di costruire un progetto comune è proprio l’obiettivo di Retinopera, che «si fonda su unità e comunione, confronto e condivisione» ha spiegato il coordinatore Gianfranco Cattai, valori ostacolati dall’odio, ma allo stesso tempo fondamentali per combatterlo.

 

Il discorso d’odio online è protetto in parte dalle caratteristiche del web, che si lo rendono un habitat ideale, e in parte dalla libertà di espressione, la quale, però, deve cedere il passo dinanzi alla tutela della dignità della persona. Esso, tuttavia, può essere distinto dall’esercizio di questa libertà perché ha dei connotati ricorrenti: è rivolto verso le minoranze o i deboli, ha una dimensione pubblica e l’intento di provocare un danno e incita alla violenza. Un fenomeno pericoloso che «non si muove sul piano della razionalità, ma su quello delle emozioni» ha sottolineato Milena Santerini, docente di Pedagogia dell’Università Cattolica e direttrice del Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali. «Molto importante è distinguere tra manipolatori, esecutori, vittime e spettatori, perché ogni categoria merita una apposita strategia di intervento» ha proseguito la docente, «e sviluppare una contro narrazione che coinvolga tutte le comunità, i singoli, i movimenti, le associazioni».

 

La necessità, quindi, è quella di una educazione ai media, che si basi «su un approccio critico, consapevole delle potenzialità e dei rischi del web», ha ricordato Stefano Pasta, ricercatore della Cattolica, «superando l’idea che il mondo on-line e quello off-line non si intersechino tra di loro. Infatti - ha proseguito Pasta - «tutte le forme più organizzate di odio, pensiamo alla Shoah, vanno interpretate come i risultati del linguaggio che abbiamo accettato come comunità».

 

La costruzione di un ecosistema digitale che possa essere una rete di fraternità, in cui si afferma una comunicazione multidirezionale, dove ognuno può condividere e mettere a disposizione le proprie conoscenze, passa dalla lotta all’hate speech, il quale prepara il terreno per le fake news e la disinformazione. L’odio sul web, tuttavia, è incentivato dalla società stessa, dalle difficoltà che le persone incontrano quotidianamente e accentuate dalla pandemia, perciò «non possiamo lasciare ai social ogni compito di bonifica - ha specificato nel suo intervento Michele Kettmajer, presidente dell’Istituto MediaCivici - ma è un processo che deve passare da una presa di coscienza all'interno di tutta la società, che comprenda scuole, imprese, associazioni e soprattutto politica».

 

L’insieme di queste riflessioni e interventi hanno portato a un dibattito, moderato da don Mimmo Beneventi, sul ruolo che possono svolgere l’educazione ai media e i soggetti singoli nel contrasto al discorso d’odio online. Ne è emersa con ancor più forza l’importanza di sviluppare il pensiero critico, non soltanto per coloro che sono spettatori sulla rete, ma anche per chi è produttore di informazione e di cultura. Fondamentale però, oltre all’impegno che ogni persona mette quotidianamente, è «un’assunzione di responsabilità da parte del mondo cattolico e la riconquista di autorevolezza. Occorre passare, come indica Papa Francesco nella sua enciclica “Fratelli tutti”, da una comunicazione di contenuti importanti, tipo la fraternità, a una pratica comunicativa della fraternità», ha infine ricordato Agostino Giovagnoli, docente ordinario di storia contemporanea dell’Università Cattolica, a conclusione dell’incontro.

 

 

Un articolo di

Alessandra Petrini

Scuola di Giornalismo

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