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Un’alleanza più che mai necessaria contro l’odio online

29 marzo 2022

Un’alleanza più che mai necessaria contro l’odio online

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Negli ultimi due anni di pandemia e di guerra i discorsi d’odio su piattaforme online e social network sono aumentati di circa dieci volte, secondo uno studio della Commissione europea, e sono rivolti a ebrei, musulmani, e minoranze in genere.

Dalla satira violenta alle accuse e alle minacce l’hate speech viaggia spesso indisturbato, diffuso da singoli e da gruppi manipolatori. Secondo teorie cospirazioniste persino la pandemia da Covid 19 sarebbe colpa degli ebrei, una tragica assonanza con la propaganda nazista per giustificare l’Olocausto.

Arginare se non addirittura eliminare il problema richiede un’alleanza tra più soggetti e l’Università Cattolica ha riunito intorno a un tavolo istituzioni, associazioni e colossi di internet per stringere un’alleanza che promuova una comunicazione rispettosa dell’altro.

Il convegno “L’hate speech nell’infosfera della comunicazione” del 28 marzo in largo Gemelli si è svolto nell’ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio d’Europa. È stato organizzato dall’Osservatorio Mediavox sull’odio online dell’Università Cattolica (Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali), con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) e dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), in collaborazione con il progetto europeo “REASON – REAct in the Struggle against ONline hate speech”.

Il discorso d’odio è illegale, le discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiose sono punite dalla legge, l’intero edificio etico della comunità europea si basa sui diritti universali e il rispetto dell’uguaglianza delle persone, e le policy delle grandi piattaforme (Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Google, Tik Tok e altre) vietano i contenuti discriminatori. Ma tutto questo non è sufficiente. 


«Anche se gli haters sono costretti a celarsi per non incorrere nei divieti di legge, sta avvenendo una sorta di rottura del tabù che escludeva dai media l’hate speech e una progressiva normalizzazione - ha dichiarato Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e direttrice del Centro di ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università Cattolica». 

Sui social vengono favorite la radicalizzazione e la polarizzazione e sempre più l’antisemitismo in forma di “opinione”, di negazione o di derisione viene legittimato. «Nelle conversazioni quotidiane, nei luoghi comuni, nelle prese in giro, nei commenti estemporanei, specialmente contro Israele o le “cospirazioni ebraiche” si diluisce un antisemitismo raramente rimosso dalle piattaforme. Quando lo è, i gruppi organizzati si trasferiscono sulle piattaforme più piccole e periferiche dove tutto è permesso». Gli odiatori utilizzano sempre le stesse dinamiche a volte difficili da tracciare e riconoscere come contenuti da rimuovere: la ripetizione (di cui Hitler sosteneva l’utilità nel Mein Kampf), la manipolazione emotiva, la diffusione e la convergenza dei media, l’uso dei meme. E non è tutto. «Rispetto alle retoriche si registrano l’uso delle tecniche di disumanizzazione (paragoni con animali, organismi come batteri ecc.) e derisione per l’umiliazione dell’avversario - ha specificato Santerini».

A dimostrazione della complessità del tracciamento e dell’insufficienza della sola intelligenza artificiale nell’azione di detection, il ricercatore dell’Ateneo e pedagogista Stefano Pasta ha spiegato il lavoro di due anni (2019-2021) sviluppato dall’Osservatorio Mediavox - Antisemitismo online: «Sono stati raccolti oltre 100.000 tweet, ne sono stati estratti 2400 e, manualmente, annotatori esperti hanno individuato se il contenuto era di odio o no. Circa il 20% mostrava un odio antisemita costante». 

Tra le retoriche, quella prevalente (37%) è il pregiudizio, nel 18% dei casi si tratta di insulti, l’8% esprime umiliazione e disprezzo, sempre l’8% paura, e ancora disumanizzazione, esclusione/separazione.

La violenza online ispira quella nella realtà quotidiana. Come ha sottolineato Daniel Holtgen, Special Representative on Antisemitic and Anti-Muslim Hatred and Hate Crimes del Consiglio d’Europa, «gli autori di questi crimini sono i tradizionali gruppi di estrema destra antimmigrazione neonazisti, i gruppi contro Israele (anche di sinistra) e gli autori di teorie complottiste che ad esempio scaricano la colpa della pandemia sugli ebrei. Di fronte a tutto questo noi possiamo continuare a occuparci della legislazione per introdurre sanzioni molto pesanti nei confronti delle piattaforme se non rimuovono i contenuti d’odio; educare i giovani a un corretto uso di internet; mantenere il ricordo e in particolare la memoria della Shoah; promuovere il dialogo interconfessionale e quello tra i giovani; invitare i leader politici a denunciare l’antisemitismo e qualsiasi tipo di discriminazione e atto di razzismo».

«Hate speech e fake news sono strettamente collegati - ha detto Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Ufficio nazionale per la lotta contro l’antisemitismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri -. L’informazione deve essere veicolata in maniera corretta, ecco perché è fondamentale che piattaforme, media e istituzioni lavorino insieme».

Attento al problema e in pieno accordo si è mostrato Roberto Natale, giornalista Rai e già presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana, per il quale «la libertà di espressione vale entro il perimetro dei valori fissati dalla Costituzione italiana e non ci può essere par condicio con l’antisemitismo». «Il nuovo dovere di fondo del servizio pubblico è costruire coesione sociale» - ha continuato Natale, che crede nell’importanza di «fare formazione entrando nelle scuole di giornalismo ma anche tra i professionisti adulti, troppo spesso abituati alle semplificazioni». 

Un ruolo fondamentale, si è detto, hanno le istituzioni e le piattaforme online. Giordana Cutler, public policy director Israel & the Jewish Diaspora di Meta ha spiegato le azioni messe in campo per contrastare l’antisemitismo e promuovere la memoria dell’Olocausto, collaborando in particolare con governi e organizzazioni del mondo ebraico. Gli investimenti della società sono cospicui: oltre 40.000 persone che si occupano della sicurezza e oltre 13 miliardi di dollari investiti per il contrasto all’odio online. 

Nella stessa direzione va l’impegno di Google che, come ha raccontato Martina Colasante, Government Affairs and Public Policy Manager del motore di ricerca, «da settembre a dicembre 2021 ha rimosso 3,7 milioni di video, la maggior parte dei quali perché presentavano contenuti in contraddizione con le nostre policy per la tutela dei minori, il 20% contenuti pornografici e il 2% discorsi d’odio. Circa il 70% dei contenuti rimossi avevano avuto solo circa dieci visualizzazioni». Tra le molte azioni di Google c’è anche un investimento di oltre un miliardo di dollari su personale che parla 40 lingue ed è preposto al controllo e alla rimozione dei contenuti che istigano alla violenza, che utilizzano insulti, che negano fatti violenti storicamente documentati o che celebrano la presunta superiorità di un gruppo di persone su un altro.
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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