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I clan e l’ipocrisia dell’Occidente

13 aprile 2022

I clan e l’ipocrisia dell’Occidente

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«Nella seconda metà del ‘900 abbiamo avuto un’opportunità straordinaria, abbiamo goduto di una finestra temporale in cui le democrazie avrebbero potuto fare miracoli se solo avessero deciso di investire un po’ più di risorse nel welfare, nell’educazione, nell’istruzione…non solo nei nostri Paesi ma anche fuori. Oggi fa rabbia l’insopportabile ipocrisia delle democrazie occidentali, così come la loro autoreferenzialità. Guardiamo solo nel nostro cortile e ci rifiutiamo di guardare all’esterno e di assumerci le nostre responsabilità storiche, scandaloso il caso dell’intero continente africano che l’Occidente, insieme a Cina e Russia, tratta da come un serbatoio di risorse naturali da saccheggiare. Come Europa abbiamo delle responsabilità storiche incredibili: non ce le siamo mai assunte, continuiamo a negare di averle e come se non bastasse pensiamo di risolvere il problema costruendo nuovi muri e nuove frontiere, basti vedere il trattamento che viene riservato ai migranti».

È un j’accuse lucido, argomentato e senza sconti quello che Fabio Armao, docente di Relazioni internazionali dell’Università di Torino, rivolge all’Occidente e alle sue contraddizioni. Cornice dell’appassionata invettiva la presentazione del suo ultimo libro, La società autoimmune, presentato lunedì 4 aprile nel corso di Aserincontra, il ciclo di eventi promosso dall’Alta scuola in Economia e Relazioni internazionali dell’Università Cattolica.

Lo studio e l’analisi della guerra, delle mafie e del capitalismo sono, da sempre, il suo terreno di studio come ha ricordato, nel suo intervento introduttivo, il direttore di Aseri Vittorio Emanuele Parsi: «Fabio Armao è un politologo atipico, praticamente un eretico che si forma all’interno di una grande scuola di pensiero mantenendo però una grande libertà di pensiero unendo un rigore metodologico quasi ossessivo alla più totale libertà di indagine. Uno dei pochi polemologi che, della guerra non ha mai subito alcuna fascinazione, solo orrore».

E uno dei temi centrali del suo percorso di studio è la rinascita del clan come elemento di riferimento del sistema sociale. Ed è proprio questo concetto il filo conduttore che unisce vere e proprie patologie sociali come mafie, gang, neofascismo, finanza underground e privatizzazione della guerra. «La sua definizione di clan – ha spiegato Parsi - è una chiave interpretativa dell’evoluzione del sistema politico internazionale».
 


«Una forma di organizzazione un po’ privata e un po’ politica – ha aggiunto Damiano Palano, direttore del Dipartimento di Scienze politiche - che si dirama come un virus, si moltiplica e si diffonde nella società contemporanea distruggendo una serie di istituzioni che negli anni hanno regolato la modernità. Nel suo ultimo libro – ha aggiunto - Armao illustra alcuni aspetti che ricalcano la struttura del clan pur non presentando delle connessioni evidenti. Questa struttura, facilmente riconoscibile nelle organizzazioni mafiose, che l’autore ha studiato molto bene, si ritrova in alcuni fenomeni, che sono venuti diffondendosi nella realtà economica, soprattutto negli ultimi trent’anni. Il cosiddetto “capitalismo clientelare”, non più legato a dinamiche di mercato, ne è un esempio».

«Il mondo imita il web, non viceversa – ha ricordato Armao –, la società si è articolata in reti complesse che funzionano meglio se ci sono degli hub. Il clan è estremamente affascinante quanto complesso come concetto: si può creare su qualunque tema e argomento, basta che si appoggi su regole, contenuti e criteri di appartenenza. Ha una capacità di controllo sociale con una coercizione molto più sofisticata rispetto a quello imposto tradizionalmente dallo Stato. Ha avuto successo perché riesce a mettere insieme esponenti di società diversa: il politico, l’imprenditore, mischia risorse. Fa funzionare meglio i meccanismi della globalizzazione».

Una prospettiva interessante anche per analizzare l’attuale conflitto in Ucraina. Per Armao è fondamentale non approcciarla con schemi novecenteschi, ormai superati, perché si tratta di un insieme di guerre diverse e di vario tipo. «Perché dare a Putin il titolo di zar quando è solo il boss di un gruppo di oligarchi in un sistema mafioso? Guardate quanti sono gli attori coinvolti, non è un conflitto che riguarda solo Mosca e Kiev. Guardate quanti mercenari arrivano da altri Paesi, Siria in primis. C’è la tendenza a semplificare un evento estremamente complesso. Questa guerra ci coinvolge di più non solo perché si combatte in Europa ma anche per il livello distruzione, impressionante per un conflitto in corso da così poche settimane».

«Non è un caso che l’esercito di Putin stia radendo al suolo le città – ha concluso – perché nella società globalizzata sono molto più importanti delle nazioni. È lì che si insediano i clan, lo Stato ormai è una sovrastruttura. Questa è una guerra alle città».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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