Ma perché negli ultimi anni è enormemente cresciuto l’interesse nei confronti dei rating ESG? «È innanzitutto il forte impatto economico che hanno sui mercati finanziari», ha detto Alfonso Del Giudice, responsabile scientifico dello studio, che, prima di illustrare le principali evidenze empiriche della ricerca, ne ha spiegato le motivazioni. «Intanto, i rating forniti alle singole società quotate possono modificare la percezione rischio/rendimento; inoltre, molte volte valutazioni di questo tipo sono fonte di engagement per gli investitori; infine, alcune agenzie di rating ESG sono anche provider di indici di mercato utilizzati da molti investitori per costruire prodotti o soluzioni di investimento orientati alla sostenibilità: i fondi ESG a oggi ammontano a 23 trilioni di dollari». Negli ultimi anni, poi, sono cresciuti gli investitori istituzionali che aderiscono al Principles for Responsible Investment (o PRI): oltre 5.000 iscritti, per un totale di più di 150 trilioni di dollari di asset in gestione, impegnati a investire secondo criteri sostenibili.
Di recente la Commissione Europea ha censito 59 agenzie di rating ESG, di cui 30 nell’Unione Europea e 29 al di fuori. Tuttavia, anche se i principali attori si riducono a pochi global player - Refinitiv ESG Rating, MSCI ESG Rating, Sustainalytics ESG Rating, Bloomberg ESG Disclosure Score, Moody’s ESG Rating e S&P Global ESG Rank - persiste un quadro frammentato nel processo di attribuzione degli indici di sostenibilità, dovuto soprattutto all’uso di modelli di business differenziati, che può minare l’affidabilità del dato finale. Come messo ben in evidenza dallo studio FIN-GOV “I rating ESG: un confronto internazionale”. In Europa i giudizi sulle società quotate sono maggiormente correlati rispetto a quelli delle quotate in Nord America. In particolare, i rating sulle società operanti nei settori “Oil & Gas” e “Utilities” sono più convergenti rispetto alla media degli altri settori; i punteggi con le più alte divergenze riguardano i tre temi rilevanti nella governance, ovvero “Board”, “Audit & Controls” e “Shareholders”.
Anche gli indicatori per le componenti ESG più comunemente utilizzati nella definizione dei pacchetti di remunerazione del management sono i meno correlati. «Non stupisce, dunque, che il mercato non consideri molto soddisfacente lo stato attuale della qualità e del processo di assegnazione dei rating ESG», spiega Alfonso Del Giudice. Una conferma che arriva anche da un recente report della Commissione Europea (EC, 2022) «secondo cui il 91% degli investitori ritiene che tali valutazioni siano distorte da limiti metodologici, l’84% non ritiene soddisfacente l’attuale mercato delle informazioni ESG e il 30% giudica complessivamente scadenti le valutazioni ESG presenti sul mercato».
Di qui la necessità di una maggiore regolamentazione per migliorare la qualità dei dati di partenza, per definire le principali metriche di valutazione e per incrementare la trasparenza nei processi di assegnazione dei rating ESG. «Per le imprese emittenti, è necessaria cautela nell’uso di metriche ESG per i pacchetti di remunerazione ed è opportuna una continua interlocuzione con le agenzie di rating», osserva Del Giudice. Inoltre, «per le società di investimento, si conferma che il rating ESG da solo non rappresenta uno strumento di selezione degli asset in grado di definire in modo univoco e inequivocabile cosa sia “sostenibile”».
Alla presentazione dell’indagine, disponibile on line sul sito del Centro ricerche finanziarie sulla corporate governance, sono seguite due tavole rotonde moderate dai professori dell’Università Cattolica Duccio Regoli, docente di Diritto commerciale, e di Massimo Belcredi.