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Identità, salute mentale e invecchiamento: viaggio nelle migrazioni famigliari

13 maggio 2022

Identità, salute mentale e invecchiamento: viaggio nelle migrazioni famigliari

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Gli uomini a combattere, le donne e i bambini in fuga verso Occidente. La guerra in Ucraina ha riacceso la luce sul rapporto tra famiglie e migrazione: in occasione della Giornata Internazionale delle Famiglie la Strategic Alliance of Catholic Research Universities (SACRU) ha fornito una panoramica del fenomeno che chiama in causa il mondo intero. SACRU è un network composto da otto Università Cattoliche di ben quattro continenti diversi (capofila l’Università Cattolica del Sacro Cuore), che cooperano assieme con l’obiettivo di promuovere un’istruzione globale per il bene comune e una eccellente ricerca interdisciplinare ispirata dall’insegnamento sociale cattolico. Fin dalla sua fondazione, una delle aree principali su cui si sono concentrate le attività di SACRU ha riguardato la Famiglia, in particolare attraverso l’istituzione di un Gruppo di Lavoro specificatamente dedicato all’analisi delle principali questioni familiari.

«Dobbiamo riconoscere l'importante ruolo che le famiglie e i caregiver giocano nell'aiutare i bambini a sopravvivere e prosperare, nonostante i traumi e le perdite derivanti dai conflitti armati», spiega Theresa Betancourt, Direttrice del Research Program on Children and Adversity (RPCA) del Boston College. Il riferimento non può che essere rivolto alla sanguinosa guerra che si sta consumando in Ucraina, ma si adatta anche a tutte le zone di conflitto. A Paesi come la Sierra Leone, per esempio, dove l’RPCA conduce da anni una ricerca che secondo Betancourt dimostra come «la formazione del carattere a lungo termine e gli esiti della vita sono anche molto influenzati da ciò che accade alle famiglie dopo la guerra in termini di accesso alla scuola, sostegno sociale e supporto a relazioni sane e riparatrici nella famiglia e nella comunità nel suo complesso».

Il supporto della comunità non è però affatto scontato nella fase post migrazione. Per Camillo Regalia, Direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e Laura Zanfrini, Professore ordinario per il settore scientifico-disciplinare di Sociologia dei processi economici nel medesimo Ateneo, «è proprio attraverso le famiglie che la migrazione si manifesta come un fenomeno capace di modificare i tratti costitutivi stessi di una società, incidendo sui caratteri somatici, etnici e religiosi della popolazione». Tuttavia, siccome sono proprio gli immigrati a essere maggiormente esposti alla povertà e all’esclusione sociale, la vera sfida posta dalla migrazione familiare riguarda «la capacità di conciliare il principio di uguaglianza e il riconoscimento della diversità».

Ma quali sono allora i processi migratori che generano perdite? La risposta non è univoca. Carlos Perez-Testor e Anna Maria Vilaregut, membri del Gruppo di Ricerca sulla Coppia e la Famiglia dell’Universitat Ramon Llull e coordinatori del Gruppo di Lavoro sulla Famiglia di SACRU, sostengono che «sono le migrazioni non protette a produrre le ferite più profonde». Con quest’ultime si fa riferimento a quelle situazioni in cui le famiglie sono costrette a scappare del proprio paese d’origine per ragioni economiche o di persecuzione politica. Quando una famiglia emigra, è come se essa attraversasse un processo di lutto, che «può essere elaborato o provocare difficoltà come la Sindrome del Migrante con Stress Cronico e Multiplo, chiamata anche Sindrome di Ulisse».

Analizzando la questione della migrazione familiare da una prospettiva latino-americana, Maria Olaya Grau e Nicolle Alamo, Docenti dell’Escuela de Trabajo Social Pontificia Universidad Católica de Chile, avvertono che con l’incremento significativo delle migrazioni verso il Cile è necessario prestare attenzione «all'impatto della separazione sulla salute mentale dei bambini e dei loro caregiver». In particolare, proseguono Olaya Grau e Alamo, «è fondamentale prevenire nuovi e futuri problemi di salute mentale, che spesso diventano più acuti o complessi quando sono accompagnati da discriminazione e xenofobia».

Keiko Hirao, Professoressa della Graduate School of Global Environment Studies dell’Università di Sophia a Tokyo pone invece l’accento sull’invecchiamento della popolazione, problema che sta attanagliando il Giappone. «Le società non possono essere sostenibili se la loro popolazione non si rigenera» e dato che «circa 896 dei nostri comuni su 1.799 scompariranno entro il 2040 a causa dello spopolamento», non vi è altra strada se non quella di «garantire la parità di genere, risolvere l'enigma lavoro-famiglia e riesaminare la sistematica svalutazione del Cuore Invisibile che fornisce una futura forza lavoro al mercato».

Un articolo di

Matteo Caoduro

Matteo Caoduro

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