Le distopie sono tra le tematiche più attuali e dibattute sia nello scenario degli studi dei media sia nella riflessione politologica e letteraria. Un’occasione unica di approfondimento è stato il convegno internazionale “Dystopian worlds beyond storytelling representations of dehumanized societies in literature, media and political discourses: multidisciplinary perspectives", organizzato da Valerio Alfonso Bruno, Antonio Campati, Paolo Carelli e Anna Sfardini che si è tenuto presso il campus milanese dell’Università Cattolica nei giorni scorsi.
«Questo convegno ha dimostrato come si tratti di un oggetto complesso con una lunga storia e numerosi risvolti che possono essere indagati da molteplici punti di vista. Nel tempo presente, immaginare utopie non è impossibile, ma siamo paradossalmente molto più affascinati dalle distopie» - ha dichiarato Joseph Trotta, professore della Gothenburg University e keynote speaker, riconoscendo l’utilità di uno studio multidisciplinare sui temi legati alle distopie per ampliarne la conoscenza.
Le origini di questo fenomeno sono radicate nella politica, come ha sottolineato Damiano Palano, tra i docenti responsabili scientifici del convegno, che, durante le conclusioni, ha rilevato come «le distopie nascono fin dalle origini con un chiaro intento politico, per criticare visioni del futuro, progetti politici o anche dei regimi politici esistenti. Queste erano però le classiche distopie novecentesche, mentre le distopie del XXI secolo, come testimoniato dagli ultimi vent’anni, si collocano in una diversa concezione della storia». Infatti, ha continuato il politologo, «ci sono sicuramente degli elementi di continuità con le vecchie distopie che rappresentavano poteri totalitari e totalizzanti, però, nella grande esplosione di narrazioni distopiche a cui abbiamo assistito, ci sono altri filoni che si concentrano su forme di esercizio del potere più subdole che accettiamo quotidianamente. E c’è anche un diffuso interesse per l’identità individuale e collettiva, già presente nelle vecchie distopie totalitarie ma che oggi assume un nuovo volto. Tutto questo si lega al discorso politico in modo diverso rispetto al Novecento, perché nelle nostre culture politiche si compenetrano molti materiali provenienti dalle serie TV, dal cinema e dai fumetti, andando così ad alimentare gli immaginari politici e a costituire nuovi motivi di mobilitazione, soprattutto per le fasce più giovani della popolazione».
Con l’aiuto di studiosi provenienti da numerose discipline diverse il convegno è stata un’occasione preziosa e unica per sottolineare che «il valore delle narrazioni distopiche risiede nella loro capacità di mostrare in maniera dinamica i problemi attuali, dalla questione ambientale al gap tra i generi fino alle differenze di classe, con grande efficacia comunicativa e suggerendo così cause e possibili esiti di determinati processi in atto, oltre che mettere in luce la responsabilità del singolo e della collettività in merito» - ha dichiarato Manuela Ceretta, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Torino.
Studiare le distopie è «una scelta di politica accademica e di ricerca di grande valore - secondo Massimiliano Panarari dell'Università Mercatorum - ampiamente premiata da queste due giornate di convegno in Cattolica, dove l’approccio multi e interdisciplinare ha dimostrato come, a partire da un campo di ricerca, si possano effettivamente incrociare percorsi di ricerca, idee, riflessioni, intuizioni, pensieri e differenti».
Interessante è stato il punto di vista di Massimo Scaglioni, tra i professori dell’Ateneo organizzatori del convegno, per il quale uno dei punti più interessanti emersi è che le distopie sono veramente ovunque: «La narrazione distopica è entrata nella narrazione popolare, soprattutto in media come la televisione, il cinema e videogiochi. La distopia è un modo per parlare del presente e della contemporaneità, che a volte sembra quasi più distopica dei racconti di fiction ambientati in universi alternativi».
Anche la letteratura fantascientifica dà un contributo fondamentale nell’immaginare situazioni che oggi fanno parte della quotidianità. Guido Vitiello, professore di Teorie del cinema e dell’audiovisivo a La Sapienza di Roma, ha ripreso l’idea del critico letterario Goffredo Fofi che «sostiene che la fantascienza sia il nuovo neo-realismo, che non immagina più il futuro, ma descrive piccoli slittamenti dal tempo presente e, in alcuni casi, parla di eventi già accaduti. Nella produzione cultuale distopica sono dunque presenti suggestioni e intuizioni che la riflessione sociologica e politologica non può più aggirare».
Per usare le parole conclusive di Joseph Trotta, «lottare da soli contro il mondo intero è terribile ma, in un certo modo, meraviglioso ed è per questo che amiamo le narrazioni distopiche».