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Il sindacato, uno strumento per il dialogo sociale

11 novembre 2022

Il sindacato, uno strumento per il dialogo sociale

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«Non è affatto vero che i sindacati siano in declino. Piuttosto in alcuni Paesi è in atto un processo inverso. Basta guardare la Scandinavia o anche la Francia e l’Austria dove il peso della contrattazione collettiva è ancora pari al 90%». E, se «un’organizzazione di lavoratori funziona bene, i benefici sul posto di lavoro si vedono: aumenta la produttività dell’azienda, calano le disuguaglianze, crescono i diritti e la giustizia sociale». Alex Bryson, professore di Quantitative Social Science all’Istituto di Ricerca Sociale dell’University College London, è Editor-in-Chief della rivista “Industrial Relations: A Journal of Economy and Society”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali di Relazioni industriali. Da tempo si occupa di mercato del lavoro e conosce a fondo le tendenze in atto. La sua lettura è chiara: il sindacato e, ancor più il dialogo sociale, è «cruciale per proteggere i salari dall’inflazione, per affrontare la sfida della transizione digitale e per sostenere una crescita economica giusta e sostenibile».

Bryson ha illustrato questa tesi durante la Lectio Cathedrae Magistralis “The Future of Unions and Social Dialogue in Europe”, promossa giovedì 10 novembre dal Crilda, il centro di ricerca sul lavoro in memoria dell’economista Carlo Dell’Aringa. A introdurlo il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, la preside della facoltà di Economia Antonella Occhino e il direttore del centro Claudio Lucifora.

Il mondo in cui viviamo, secondo Bryson, è caratterizzato da una crescente disuguaglianza, generata da crisi finanziaria, pandemia e sue conseguenze; ascesa della Cina; immigrazione; guerra Russia-Ucraina. Problemi spinosi che per essere risolti necessitano di un maggiore dialogo sociale, inteso come comunicazione tra datore di lavoro e lavoratori, il solo strumento utile per trovare soluzioni adeguate. Però, negli ultimi anni la voce dei lavoratori è sempre più «flebile». Perché è in calo l’incidenza della sindacalizzazione? O siamo di fronte a un declino ciclico? È cambiata la domanda dei sindacati? «Sono disponibili diversi parametri per valutare uno stato di salute dei sindacati, che varia da un Paese all’altro e a seconda del settore e dell'occupazione», ha osservato Bryson. Per esempio, in alcuni Paesi sono sorti meccanismi di rappresentanza di lavoratori alternativi, talvolta anche creati dai datori di lavoro. In altri casi, c’è una forte concorrenza dello Stato, che ha preso il sopravvento nella risoluzione di problemi collettivi, disincentivando i lavoratori dall’iscriversi ai sindacati. C’è poi anche un problema di carattere economico legato ai costi di iscrizione, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la crisi dei sindacati dipende interamente dalle quote sindacali. Una risposta a queste difficoltà potrebbe venire da organizzazioni meno centralizzate e più vicine al posto di lavoro e, quindi, più capaci di venir incontro ai bisogni dei lavoratori. Sul fronte economico, invece, potrebbe essere utile l’intervento dello Stato attraverso sussidi fiscali per il sindacato.

 

 

Per Bryson, infatti, i sindacati contano ed è un grave errore darli per spacciati. Sono fondamentali perché hanno ricadute positive sul «benessere dei lavoratori» e «promuovono l’innovazione nelle imprese, contribuiscono a contrastare la stagnazione, a ridurre la disuguaglianza salariale, ad abbattere le disparità nei confronti delle donne o delle minoranze etniche, a fare “pressione” per introdurre cambiamenti legislativi, come la conciliazione famiglia-lavoro». E, ancora una volta, il caso della Scandinavia è emblematico. Quando si guarda al futuro, allora, più che di «declino» dei sindacati si deve parlare di una loro rinnovata centralità. Ci sono diversi casi di successo che lo confermano e riguardano le categorie degli insegnanti, dei medici, degli infermieri.

E nell’era della Gig economy, che non ha fatto altro che alimentare i gap e aumentare la crescita dei working poor, anche le nuove tecnologie possono fare la loro parte. Per l’economista inglese, infatti, «hanno il potenziale per costruire nuove piattaforme in grado di dare voce ai lavoratori e fornire gli strumenti di comunicazione necessari per risolvere problemi collettivi e affrontare questioni simili alle discriminazioni sul posto di lavoro. Le azioni in rete possono diventare virali e causare danni alla reputazione dei datori di lavoro».  

La Lectio di Bryson si è conclusa con l’assegnazione del premio di laurea in memoria di Carlo Dell’Aringa. A riceverlo Lidia Margiotta, laureata all’Università Cattolica, la cui tesi, selezionata fra 97 elaborati arrivati da tutta Italia, ha affrontato il tema delle disparità di genere nel mondo artistico. Menzioni speciali ai lavori di Greta Guerrieri e di Tommaso Iori.

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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