Quando Monica è arrivata in Congo la città contava 300mila abitanti mentre oggi sono circa due milioni, nonostante si trovi in una zona molto precaria battuta da oltre un centinaio di gruppi armati ribelli: «Ci si abitua a vivere in questa condizione -racconta- ma il fatto che in città ci sia il contingente militare Onu più importante del paese rende il nostro lavoro abbastanza sicuro, anche se nulla può dare garanzie qui. La nostra protezione più grande, oltre al supporto dei salesiani, è lo stretto contatto che abbiamo con la gente, che ha imparato a conoscerci e ci avvisa in caso di allarme».
Non gode dello stesso appoggio MONUSCO, la missione di peacekeeping Onu forte di oltre quindicimila militari presente nel paese dal 2000: «La gente non capisce perché sono così tanti e cosa fanno qui -spiega Monica-, ci sono stati molti scandali legati alla presenza delle Nazioni Unite. Certo hanno impedito che Goma venisse presa dai ribelli durante le ultime due guerre combattute nel 2007 e nel 2012 ma non hanno mandato di intervento e in tanti momenti non sono scesi in campo a fianco dell’esercito congolese. Questo è uno dei motivi per cui la popolazione vuole che se ne vadano».
Proprio a circa 300 km a sud di Goma sono stati uccisi Attanasio e Iacovacci: «Ho conosciuto Luca, era un ambasciatore vero. Non un burocrate. Era molto presente dal punto di vista umano nonostante fosse di base a Kinshasa e sapeva ascoltare, una dote non comune per gli occidentali che operano qui. Lui incoraggiava molto i progetti di cooperazione con i locali, tanti invece vengono qui pensando di essere migliori e così facendo non riescono a trovare punti di contatto con la gente. Diversi canali di finanziamento seguono le mode occidentali: molti soldi oggi arrivano per contrastare il Covid-19 perché da noi si pensa che sia una priorità mentre qui è l’ultimo dei problemi. Sono molto più devastanti malaria, morbillo e tubercolosi».