Jacinda Ardern, premier della Nuova Zelanda e leader del partito laburista, ha annunciato ieri le sue dimissioni. Nulla di strano fino a qui…nei governi democratici le dimissioni di un premier non sono infrequenti. Il fatto è che le motivazioni questa volta non sono di natura politica né legate ad uno stato di malattia accertata (come nel caso di Shinzo Abe, primo ministro giapponese nel 2020). Quello che Ardern spiega alla sua nazione è che si dimette per “mancanza di energia”, una giovane donna di 42 anni che è stata un vulcano nella guida del suo Paese per cinque anni abbondanti.
Non è strano che una notizia di questo tipo colpisca l’opinione pubblica e che in poche ore siano prolificati i commenti da parte di giornalisti, esperti e opinionisti quasi in tutte le testate del mondo.
Ci sono a mio avviso due nuclei tematici che spiegano l’interesse suscitato da queste dimissioni e che vanno a toccare due tabù che ancora sono ben radicati nella nostra società.
Il primo è lo stigma per il disagio mentale, basato sulla credenza che il malessere emotivo sia meno reale e importante di quello fisico. Anche se ancora non è identificata come una condizione medica il burn out è stato riconosciuto dall’OMS come fenomeno occupazionale nel 2019. Avere il burn out vuol dire sentirsi bruciati, esauriti. Lo stress legato al lavoro ha portato all’esaurimento delle proprie risorse psicofisiche. Il problema è che quando arrivano sintomi di questo tipo molto spesso le credenze stereotipiche portano a far ricadere la responsabilità di questo stato di debolezza su di noi. Raramente quindi possiamo concepire che una persona decida di rinunciare ad una prestigiosa posizione lavorativa perché riconosce di essere in questo stato e quindi di aver bisogno di cura.
E qui arriviamo al secondo tabu quello della rinuncia al successo e al potere. Il legame tra potere ed identità mi ha sempre incuriosito. Chi raggiunge il potere spesso identifica se stesso con la posizione che ha raggiunto, come se non esistesse più un “io” al di fuori di quel titolo e di quel ruolo. Come è possibile allora che una persona possa decidere di rinunciare e trovarsi in un tale smarrimento di sé, se non costretta dalle circostanze?
Credo quindi che Ardern sia di esempio anche in questa circostanza. Una persona che nella sua vita ha combattuto e vinto contro gli stereotipi di genere, di età e di status sociale. Provenendo da una famiglia di operai, è riuscita a farsi strada nel mondo della politica internazionale e a diventare una giovane donna premier.
Inutile ricordare ora i diversi attacchi subiti in virtù di queste sue “caratteristiche” socio-demografiche e non credo neanche che questa sia stata la causa del suo esaurimento. Credo solo che anche questa volta Arden abbia dimostrato come si possa ragionare con la propria testa al di là dei vincoli e delle convenzioni sociali e avere il coraggio di scegliere e perseguire la strada che ha sentito più giusta per sè.