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L'annuncio di salvezza è la speranza della Pasqua

25 marzo 2021

L'annuncio di salvezza è la speranza della Pasqua

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La felice concomitanza tra la nostra celebrazione in preparazione alla Santa Pasqua e la ricorrenza della solennità liturgica dell’Annunciazione ci consente di entrare in modo ancora più profondo nel mistero pasquale in un anno particolarmente difficile, soprattutto per questa nostra sede di Roma, dove il Policlinico Gemelli si è trovato, e tutt’ora si trova, in prima linea nell’affrontare l’emergenza causata dalla pandemia. La festa odierna ci introduce nel clima pasquale e ci fa già intravvedere lo splendore della risurrezione, benché siamo ancora impegnati nel cammino quaresimale.

Nell’Annunciazione ci sono già tutti gli elementi del mistero pasquale. L’evento del concepimento del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo porta a compimento la promessa antica e conferma definitivamente la volontà salvifica di Dio. Le parole dell’Angelo sono già un annuncio pasquale: «ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Senza l’evento dell’incarnazione non potrebbe compiersi il mistero pasquale. La Salvezza non ci è donata dall’esterno, ma in forza di un’intima partecipazione di Dio alla vita terrena, attraverso l’assunzione di tutto il dramma dell’umanità ferita a causa del peccato e nella concreta testimonianza che Gesù ci ha dato dell’amore infinito e misericordioso del Padre. Una testimonianza che giunge fino ad offrire sulla Croce la propria vita divina per la redenzione del genere umano. Una vittoria sul peccato e sulla morte che con la risurrezione diventa luce folgorante per il cammino dell’umanità verso la pienezza della vita in Dio. Questo amore, così paradossale e provocatorio per le logiche del mondo, rappresenta il paradigma che regola e guida il cammino dei credenti e della comunità cristiana secondo la regola d’oro o il comandamento nuovo lasciatoci dal Signore: «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Gv 15,12).

Accogliamo quindi questo annuncio di salvezza che risuona anche per noi oggi nel contesto difficile e sofferto di un’umanità messa duramente alla prova dal persistere di una devastante pandemia. L’annuncio dell’angelo a Maria si riverbera e si amplifica nell’annuncio dell’angelo alle donne che vanno al sepolcro e lo trovano vuoto: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto» (Mt 28,5-6). Se in questa pandemia siamo stati attraversati dal dolore e dalla morte che ci hanno fatto abbracciare in modo più profondo e drammatico la Croce del Signore, abbiamo ora non meno bisogno di lasciarci rigenerare nella speranza e nella fiducia dalla partecipazione alla risurrezione del Signore.

L’angelo Gabriele rivolge anche a noi le parole indirizzate a Maria: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» a cui fanno eco quelle degli angeli al sepolcro: «Voi non abbiate paura!... il crocifisso non è qui. È risorto». Queste parole ci consentono di guardare con occhi nuovi a tutto quello che abbiamo vissuto in questo anno. Un tempo di grande prova e di sofferenza per tutti, ma anche un tempo di purificazione, di rinnovamento e di speranza. Molti hanno riscoperto il senso genuino dell’essere solidali e del prendersi cura gli uni degli altri. Abbiamo sperimentato come non mai, anche nel nostro policlinico, una generosità e una dedizione inimmaginabili in altri contesti ordinari e toccato con mano testimonianze eroiche, e permettetemi di dire senza pudore, di vera santità, in pazienti, operatori sanitari, personale tecnico amministrativo.

Abbiamo visto nell’incrociarsi degli sguardi con i pazienti ma anche tra operatori, la paura, lo smarrimento, la fatica, l’enorme sofferenza. Ma in tutto questo non è venuta mai meno la speranza e la certezza che non eravamo soli. Il Signore ha camminato al nostro fianco, ci ha consolato e ci ha dato forza, spesso al di là delle nostre possibilità umane. Abbiamo sperimentato il dolore e lo spasmo della croce, ma anche la grazia e la forza della risurrezione. Quante volte, quando le risorse sanitarie e le possibilità scientifiche giungevano al capolinea, abbiamo alzato gli occhi al cielo e ci siamo affidati alla misericordia divina. E in quei momenti, forse senza neppure saperlo, siamo stati come gli angeli sulla tomba del Signore, dicendo a noi stessi e agli altri con parole semplici, gesti di tenerezza e sguardi profondi: “non avere paura… è risorto!”

Oggi siamo qui per unire le nostre lacrime a quelle del Signore ma anche per dire grazie alla luce di quanto abbiamo potuto sperimentare di grande e di bello nelle criticità e nelle fatiche di questo anno. Un grazie che diventa reciproco per il sostegno che ci siamo offerti l’un l’altro, ciascuno per la sua parte, in questo tempo così delicato e complesso. Il riconoscimento giunto quasi inaspettato che ha visto La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS riconosciuta come il migliore ospedale d’Italia, secondo quanto emerso dalla classifica World’s Best Hospital 2021 stilata come ogni anno dal magazine statunitense “Newsweek”, rappresenta in qualche modo una conferma e un sigillo su questo cammino fatto con la passione di sempre e con la consapevolezza di avere una missione da compiere secondo il grande sogno di Padre Gemelli.

Non è certo da questo posizionamento che possiamo misurare la fedeltà al mandato originario, ma rappresenta comunque un meritato riconoscimento che va a coronare i sessanta anni di vita della Facoltà di Medicina e chirurgia e del suo Policlinico e si inserisce in modo significativo nelle celebrazioni per il centenario dell’Ateneo. Un attestato che rende anche omaggio  e conferma quanto auspicato da San Giovanni XXIII il giorno dell’inaugurazione, come inciso in modo indelebile sulla grande lastra di marmo apposta qui in Chiesa. Permettetemi di rileggere oggi a sessant’anni di distanza quelle parole profetiche: «Finalmente è avvenuto che sia stato realizzato compiutamente con audacia grandiosa e generosa il progetto, che Agostino Gemelli aveva con tenace volontà meditato… Lui medico, amò l’eccelsa professione dei medici, ravvisandone il vero coronamento laddove la fede illuminasse con maggiore saldezza i suoi progressi in aumento, laddove la sapienza cristiana gettasse luce ogni giorno più fulgida sulla conoscenza scientifica acquisita. Dal più profondo del cuore formuliamo auguri di bene. Questa scuola di medicina possa fiorire sviluppandosi con successo; tutto quanto v’è di elevato, puro, nobile possa qui crescere in pienezza; possa essa educare moltissimi allievi e generare eccellenti cultori di questa disciplina salutare».

La Facoltà è fiorita e ha prodotto abbondanti frutti, il Policlinico ha raggiunto grandi successi, il sogno è divenuto realtà e forse la realtà ha superato il sogno consegnando a tutti noi una straordinaria eredità che dobbiamo vivere non senza un giusto e sano orgoglio ma soprattutto con grande responsabilità e coraggio. In questo luogo si accumulano giorno dopo giorno memorie di autentica santità. Da quella di Santa Madre Teresa di Calcutta a cui è stata conferita anche la Laurea honoris causa che ispira il nostro particolare impegno a servizio della vita nascente, soprattutto la più fragile e indifesa, passando poi per San Giovanni Paolo II, un gigante della fede che nella sua vita, ancor prima che nel suo ministero petrino, ha fatto risplendere il mistero pasquale, facendo proprio del Policlinico Gemelli la sua Cattedra per insegnare, con la sua testimonianza personale più che con le parole, la forza salvifica del Vangelo della sofferenza. Nel centenario della sua nascita abbiamo realizzato tre mostre di grande significato e bellezza che saranno allestite poi in modo permanente a memoria di un legame fecondo e inscindibile tra il santo pontefice polacco e la nostra istituzione. Fino ad Armida Barelli che tanto ha fatto in preghiere ed opere per la nascita di questa realtà fin dagli anni Venti del secolo scorso, contribuendo in modo decisivo a dare le ali al sogno di Padre Gemelli. La sua prossima beatificazione possa diventare l’occasione per imitarne la fede intrepida, l’operosità instancabile, il coraggioso impegno educativo, la straordinaria capacità di essere “cucitrice di opere”, come amava definirla Padre Gemelli. È una caratteristica che ben si addice ed è certamente utile per chi è impegnato nella vasta e poliedrica attività della nostra grande istituzione accademica.

La santità pubblica di figure insigni è però solo il riflesso di una santità diffusa che abita la nostra istituzione e che appare ben visibile a chi sa guardare i tanti “buon samaritani” che ogni giorno si prendono cura, con scienza, coscienza e autentica carità, di chi ha più bisogno, spesso nel silenzio e nel nascondimento, ma sono quelli che con la loro testimonianza fanno grande la nostra istituzione. Tutto questo ci spinge ad un rinnovato impegno sia per affrontare questo contesto ancora così incerto e faticoso sia per guardare al futuro e avviare processi che sappiano garantire uno sviluppo sostenibile e percorsi di vera fratellanza universale in grado di garantire vita dignitosa, pace, giustizia per tutti. Perché tutto questo si realizzi servono persone che continuino ad avere la disponibilità di Maria che ha saputo dire con umiltà e coraggio il suo Fiat. Sul suo esempio dobbiamo fare nostre le parole della lettera agli Ebrei che ci invita a dire con sincerità di cuore «Ecco, io vengo a fare la tua volontà».

Sappiamo quanto è difficile tutto questo per le resistenze personali e per il contesto spesso ostile, ma possiamo contare sull’accompagnamento della Madre celeste e sul suo sguardo premuroso.

A lei ci rivolgeremo dopo la comunione, in questa solennità dell’Annunciazione, con le parole sublimi del sommo poeta Dante ispirato da San Bernardo:

"Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz'ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacuna
de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l'ultima salute”

 (Divina Commedia, Canto XXXIII del Paradiso)

.

 

 

Un articolo di

S. E. Monsignor Claudio Giuliodori

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