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L'impatto sull'ambiente dell'oro bianco, quando efficienza fa rima con sostenibilità

27 maggio 2021

L'impatto sull'ambiente dell'oro bianco, quando efficienza fa rima con sostenibilità

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Amato da molti, demonizzato da altri per le ricadute a livello ambientale, soprattutto a causa degli allevamenti necessari alla sua produzione, la certezza è che il latte è un alimento fondamentale per la dieta umana e animale. Parte da questo assunto la ricerca di Federico Froldi, che ha da poco conseguito il Phd dopo avere frequentato la Scuola di dottorato per il sistema agroalimentare Agrisystem dell’Università Cattolica.

Di Cremona, seguendo la strada iniziata con la tesi magistrale, Froldi ha investigato sia l’impatto in termini di sostenibilità della produzione di latte destinato a consumo diretto, il cosiddetto latte alimentare, sia quello del latte trasformato per la produzione di formaggio a pasta dura.

Lo “Studio dell’impatto ambientale del latte destinato al consumo diretto o alla trasformazione in formaggi Dop in sistemi produttivi del Nord Italia”, questo il titolo della sua tesi, è cominciato con l’inquadramento delle criticità nella produzione di latte in 129 allevamenti della pianura padana, con l’obiettivo di individuare i principali contributi alle emissioni di gas ad effetto serra e altri inquinanti, per poi proporre azioni di mitigazione e miglioramento delle performance ambientali.
«L’Italia è leader nella produzione di latte di qualità per il consumo diretto ed è il principale Paese europeo produttore di formaggi Dop - dice Froldi - ma il sistema di produzione del latte è messo sotto accusa perché ha un impatto negativo sull’ambiente, in quanto l'allevamento delle vacche è responsabile delle emissioni di gas serra e di altre sostanze inquinanti».

Quindi il ricercatore entra nello specifico. L’allevamento bovino viene ritenuto uno dei principali responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra, i cosiddetti Greenhouse Gases (Ghg). «Secondo Ispra - continua - il settore agricolo nazionale rappresenta circa il 7% delle emissioni di Ghg, per la maggior parte (79%) derivanti dalla zootecnia. Pertanto, a fronte di un effettivo impatto sull’ambiente, sono comunque valori contenuti».

Il problema principale è dovuto alle emissioni di metano che derivano in gran parte dall’attività digestiva in ruminanti e dalla gestione degli effluenti di allevamento, ciononostante è possibile mitigare e ridurre le emissioni legate all’attività agricola e zootecnica.

La ricerca di Froldi è stata infatti svolta nell’ambito del progetto LIFE-The Tough Get Going, che si propone di implementare soluzioni ambientali per migliorare l'efficienza dell’intera catena del valore di formaggi Dop, per ridurre gli impatti ambientali e per raggiungere una produzione e un consumo più sostenibile.

Come detto, in primo luogo il focus è stato posto sulle criticità del sistema. «L’analisi degli allevamenti selezionati nella tesi - continua Froldi - ha evidenziato che i fattori di maggiore impatto sono dovuti alle emissioni legate all’acquisto di alimenti e mangimi, alla produzione di alimenti, alle fermentazioni enteriche e alla gestione degli effluenti di allevamento. Lo studio delle diete alimentari utilizzate in allevamento ci permette di affermare che maggiore è la digeribilità degli alimenti e la loro qualità, quindi della dieta, minore è la stima della produzione di metano da fermentazione enterica e gestione degli effluenti di allevamento».
Dato questo stato dell’arte, quali le possibili azioni di miglioramento delle performance ambientali? «Le strade possono essere diverse - spiega Froldi - in prima luogo è possibile migliorare l’efficienza produttiva e la qualità di latte e carne, a seguire si possono adottare azioni di mitigazione delle prestazioni ambientali a più livelli: dalla stalla alle colture, fino alla gestione degli effluenti di allevamento».

«Una delle possibilità sarebbe favorire un buon livello di benessere degli animali in allevamento - sostiene Froldi - adottare piani colturali che permettano di ridurre l’impiego di acqua per l’irrigazione, prodotti fitosanitari e concimi di sintesi, ottimizzare l’impiego degli effluenti di allevamento con l’utilizzo di tecniche di distribuzione in campo che riducano le emissioni dirette e indirette di Ghg».
Gli allevatori, spiega il giovane ricercatore, si sentono nell’occhio del ciclone.

«Anche per questo - afferma - hanno maturato una sensibilità verso questi temi. Da un lato sono portati a investire per ridurre le loro emissioni, dall’altro c’è il problema della remunerazione del latte. Gli allevatori chiedono: mi impegno, anche economicamente, ma poi questo  sacrificio è ripagato in qualche modo dalla filiera? Cosa ricavo dalla vendita di un formaggio che è più sostenibile? A questo lavorano oggi, e dovranno farlo anche in futuro, le politiche agricole comunitarie e nazionali».

Un articolo di

Filippo Lezoli

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