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L’università come laboratorio di dialogo e di pace

19 maggio 2022

L’università come laboratorio di dialogo e di pace

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Bisogna ricostituire un sistema di relazioni internazionali che assicuri la pace al nostro mondo». E in questa opera, se politica e diplomazia non sono in grado di «dare risposte autorevoli ed efficaci» a quanto sta avvenendo in Ucraina, possono avere un ruolo determinante le università, luoghi di pensiero e riflessione. Il tema della guerra non resta fuori dal dibattito che, mercoledì 18 maggio, ha avuto come protagonisti in Università Cattolica il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e Giuliano Amato, Presidente della Corte costituzionale. Secondo il Cardinale Parolin la drammatica situazione ucraina è il «risultato della progressiva erosione del multilateralismo», un processo che va avanti da tempo. E, in questa esperienza di tragedia, l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” «dà indicazioni precise che possono essere proposte all’insieme della comunità internazionale», per ricostruire quanto è stato finora distrutto.

Le università, dunque, che «non sono mai state ‘torri d’avorio’» bensì sono per definizione «luoghi aperti e di transito», dove «gli studenti entrano ed escono, speriamo migliori, con conoscenze nuove», ha ricordato il Rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, aprendo il dibattito “L’Università Cattolica per il bene del Paese: un secolo di impegno educativo e culturale” che ha concluso il ciclo di conferenze “Un secolo di futuro: l’università tra le generazioni”, promosso dall’Ateneo nell’ambito delle Celebrazioni del Centenario. «Alla soglia dei cento anni siamo consapevoli della nostra cruciale responsabilità: dare un contributo alla società, alla collettività e, soprattutto, alla chiesa. Ex Corde Ecclesiae si è originata l’Università Cattolica», ha ribadito il rettore Anelli. Anche perché, «l’Ateneo è nato per essere, e lo dovrà essere sempre di più, un laboratorio permanente di dialogo e di confronto inter e trans disciplinare per rispondere alle esigenze di un mondo in rapida trasformazione», ha fatto eco monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, e curatore del terzo volume della Storia dell’Ateneo dedicato alle Fonti del Magistero della Chiesa per l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Vita e Pensiero), che ha fatto da sfondo al dibattito.

Contributo, servizio, impegno. Sono termini ricorrenti nell’intervento del Cardinale Parolin che ha ripercorso alcune tappe fondamentali della storia dell’Università Cattolica. Un Ateneo che non ha rigettato le complessità del proprio tempo ma ha saputo sempre accogliere le sfide impegnandosi «nell’esplorazione delle premesse scientifiche, antropologiche e teologiche sulle quali poggia la ricerca della verità e la plausibilità della fede». Un modus operandi che descrive bene anche il «peculiare servizio che ha reso alla Chiesa, impedendo che se ne spegnesse la curiosità intellettuale e tenendone viva l’inquietudine spirituale».

In fondo, ha aggiunto il Segretario di Stato di Sua Santità, ci sono analogie tra la situazione attuale e quella in cui maturò la decisione di dare vita alla Cattolica. «Ma se un secolo fa il confronto era tra fede e incredulità, nello scenario odierno il dissidio è semmai tra fede e diffidenza. Spesso, purtroppo, tra fede e indifferenza. Laddove lo scientismo di inizio Novecento cercava il modo di negare l’esistenza di Dio per via razionale, la mentalità degli anni Duemila pare prigioniera di un agnosticismo accomodante e melanconico, che si accontenta di affermare l’irrilevanza di Dio, salvo poi rifugiarsi nelle credenze più abborracciate e anacronistiche». In particolare, ha precisato, «domina, su tutto, il rifiuto e l’esclusione dell’altro, un altro che di volta in volta si presenta con le sembianze del povero, dello straniero, del migrante».

Eppure, «non si dà pensiero di Dio, e quindi non si dà fede, in assenza di pensiero». E se la Chiesa, come ci ripete Papa Francesco da quasi dieci anni, è per sua natura «in uscita», curiosa di tutti e di tutto, non è senza pensiero. «Per uscire, infatti, bisogna prima sapere che fuori esiste qualcosa. Per incontrare l’altro, occorre prima pensarlo. E questa è la straordinaria missione di una Università Cattolica».

 

 

Al tema dell’altro si è riallacciato anche Giuliano Amato. «Formare a una cultura solidaristica, fondata sulla capacità di riconoscere l’altro, è sempre più cruciale». Per Amato sono due le sfide che la formazione di giovani generazioni si trova ad affrontare. La prima è quella dell’intelligenza artificiale. «C’è uno scientismo del nostro tempo di fronte al quale bisogna avere il coraggio di dire che non tutto ciò che è fattibile va fatto perché vi sono dei confini etici che gli esseri umani hanno il dovere di non valicare». C’è, poi, il tema del riconoscimento dell’altro. «Viviamo in società che sono multi- da tutti i punti di vista», una «diversità» che mette continuamente alla prova ciò che recita la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Ed «eguale dignità e diritti hanno tutti coloro che vivono con noi nella nostra società». Un aspetto che «non si risolve voltandosi dall’altra parte» ma fornendo, come solo una Università Cattolica può contribuire a fare, un «insegnamento formativo» e non solo «informativo di tecnica».

Ma in questa fase di complessità geopolitica quale «contributo possono dare le università per una nuova cultura di pace mondiale?», ha chiesto ai due interlocutori la prorettrice dell’Università Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi. «L’aspetto più preoccupante è vedere il rifiorire dei sovranismi nazionali», ha risposto Amato. Pertanto, «il compito delle università è creare negli studenti consapevolezza della sovranazionalità dei problemi che abbiamo di fronte e del perdurare della contraddizione tra la nostra incapacità di uccidere la sovranità assoluta degli stati e il bisogno di rafforzare i governi sovranazionali». In realtà, ha fatto eco il Cardinale Parolin, il sistema degli organismi internazionali, cui la Santa Sede ha sempre dato grande fiducia, «è andato in crisi». Ora, «si tratta di ricominciare da capo e assemblare gli elementi rimasti sul campo».

Dalla guerra alle tecnologie. Che senza dubbio «possono arricchirci in modo impensabile», ha puntualizzato Amato. Tuttavia, «non può essere la macchina ad adottare una decisione innovativa». Questo perché «l’umano porta in sé il capire l’altro, il progettare qualcosa di nuovo, lo sbagliare e assumerne la responsabilità». Ed è quello che va insegnato ai giovani «senza seminare sfiducia nei confronti della tecnologia». Già perché, ha ribadito il Cardinale Parolin, «è illusorio rifiutare i progressi». Consapevoli, però, che «non c’è niente che possa sostituire il rapporto personale: noi siamo persone nella misura in cui siamo relazione». E ancora una volta l’apporto dell’università può essere cruciale: «Aiutare a dare una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza umana che la tecnologia cerca di eludere e alla quale non può rispondere».

 

 

Un articolo di

Katia Biondi

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