Eppure, «siamo cresciuti con l’esaltazione del merito» che, se all’inizio ha scomposto «certe rigidità», poi, si è trasformato in uno «strumento di sopraffazione», ha fatto notare Romani Prodi, analizzando l’esame critico e complesso della società offerto dal professore di Harvard. Un’idea di «ingiustizia», di «differenziazione sempre più accettata». Basti pensare che oggi non c’è più indignazione se un Ceo guadagna trenta volte in più di un lavoratore. Come facciamo allora a uscire dalla trappola della meritocrazia?
Sandel suggerisce alcune soluzioni ai problemi della globalizzazione e della disuguaglianza: ripensare il ruolo delle università, la dignità del lavoro e il significato del successo. Nell’era della meritocrazia abbiamo convertito le «università in macchine di selezione», escludendo alcune persone. Le istituzioni universitarie, al contrario, devono «dare spazio» ed «esortare gli studenti a riflettere su quello che è importante». Occorre, poi, concentrarsi per migliorare la vita di quanti restano indietro, aiutandoli a guadagnarsi un «riconoscimento sociale». La pandemia è stata un’occasione per rivalutare il valore dei lavoratori essenziali, per esempio corrieri o infermieri, solo per citarne alcuni. Insomma, bisogna essere consapevoli del nostro destino e di quanto ci è stato dato. Solo questo può «ispirarci a essere umili» perché «l’umiltà può allontanarci dall’etica dura del successo».
Serve, però, anche altro. C’è un problema profondo di organizzazione della società, e soprattutto di «crisi della democrazia» che ha la sua origine nel «depauperamento delle categorie intermedie», ha precisato Prodi. Per questo è fondamentale «costruire una società con una maggiore partecipazione». Un aspetto condiviso dal filosofo statunitense: la «politica» può riportare nuovamente i «cittadini nel dibattito pubblico» eliminando la «confusione» che negli ultimi quarant’anni si è creata tra mercato e merito.
Come spiegare, allora, agli studenti perché devono studiare così tanto? Ovvero, «queste derive delle idee di merito possono trovare una nobilitazione associata all’idea di responsabilità», ha chiesto in conclusione il rettore Franco Anelli? Anziché una «definizione tecnocratica», ha suggerito Sandel, dovremmo promuovere un concetto di merito che coltiva l’«apprendimento umanistico» e, pertanto, le università devono diventare un luogo in cui pensare e credere.