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La Democrazia e il ruolo del riformismo cristiano

13 giugno 2022

La Democrazia e il ruolo del riformismo cristiano

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A sessant’anni dalla costituzione dell’Archivio “Mario Romani” per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, un convegno internazionale ne ha celebrato l’importante anniversario. Il 9 e 10 giugno tanti studiosi si sono riuniti a Milano in Università Cattolica per il simposio sul tema “Democracy Beyond the Revolution. The Social and Socio-economic Initiatives of Christian Reformism Between the 1960s and the 1990s”, organizzato dall’Archivio con la Fondazione Giulio Pastore, Civitas e il Dipartimento di Storia dell'economia, della società e di Scienze del territorio “Mario Romani”.

A dare l’avvio ai lavori del convegno è stata la tavola rotonda sul tema “Associazioni, movimenti sociali e democrazia: questioni storiche e prospettive di ricerca”, introdotta dal professor Aldo Carera, direttore dell’Archivio “Mario Romani” che ha incentrato il suo intervento sulla figura di Mario Romani, al quale l’Archivio è intitolato. Romani, infatti, fu docente di Storia economica in Università Cattolica, la ricchezza del suo pensiero maturò alla luce del rapporto tra mondo cattolico e l’avanzare della società industriale, gravata da forti squilibri e antiche resistenze al cambiamento. «Per Romani il costituirsi e organizzarsi della società civile in gruppi e formazioni sociali è una esigenza che affonda le sue radici nella matrice personalistica. L’individuo si fa persona e l’associazione crea comunità per nuovi modelli di sviluppo praticabili, sostenibili, moralmente giusti».

A moderare gli interventi dei relatori intervenuti alla tavola rotonda è stata Marta Busani dell’Università Cattolica, che ne ha presentato i profili scientifici e ha instaurato una conversazione in stile dialogico sul tema del contributo di associazioni e movimenti alla democrazia avvenuti nella seconda metà del secolo scorso, a partire dai fermenti del ’68.

Sui cambiamenti avvenuti ai corpi intermedi negli anni Sessanta, Paolo Pombeni dell’Università di Bologna ha individuato le “ambiguità” di quegli anni. «Le istituzioni entrano in crisi, perché si rivelano inadeguate e così i giovani voltano le spalle a queste organizzazioni. L’intento riformista declina perché non riesce a raggiungere gli obiettivi che si era posto. Se non si possono fare riforme, si deve fare la rivoluzione, si vuole la rottura con le istituzioni che hanno fallito. Il mito della rivoluzione è il neo-marxismo. Dall’altro lato la Chiesa emana due documenti, la Gaudium et spes, che esorta a non aver paura della modernità, e la Populorum progressio che sembra un manifesto rivoluzionario».

I cambiamenti sociali come fenomeno globale che intreccia la storia di diverse nazioni, i contenuti e i ruoli del mondo cattolico sono stati oggetto dell’intervento di Gerd-Rainer Horn del Sciences Po di Parigi, studioso del ’68. Nei cambiamenti di quelli che ha chiamato i “lunghi” anni Sessanta, ha illustrato il ruolo dei movimenti sociali nati alla luce della deistituzionalizzazione nei processi di democratizzazione in cui è emerso quel desiderio di liberazione personale per cui «io voglio essere io e il rapporto con gli altri non è importante».

Su quello che il movimento di Solidarnosc ha rappresentato per la Polonia, per l’Europa e per la Chiesa è intervenuto Vincenzo Bova dell’Università della Calabria. «È un movimento sociale in cui lavoratori lottano contro il loro governo per chiedere l’autonomia della Polonia rispetto al dominio dell’impero sovietico. Quando il movimento appare è già cambiata la società, il movimento infatti è l’espressione di quel cambiamento. Il movimento è in positivo, non si limita a dire “noi non siamo loro”. Elementi della cultura nazionale e il bisogno dei diritti umani fondamentali si legano insieme in Solidarnosc e diventano movimento nel 1980 portando alla sconfitta del grande nemico».

Nel dibattito che ne è seguito, anche alla luce della situazione italiana, tante le considerazioni emerse: la crisi delle forme di rappresentatività della società civile, i movimenti sociali e la difficoltà a trovare forme di mobilitazione della società civile in chiave propositiva, il ruolo dell’utopia, i corpi intermedi necessari per affrontare il futuro, la fine della capacità da parte della Chiesa di essere orientativa (si vedano i casi dei referendum su aborto e divorzio), il cattolicesimo non più religione di maggioranza e pure frammentato al suo interno, motivo per cui Solidarnosc non può essere un modello da esportare ma rimane consegnato alla storia, come ha ribadito il professor Bova.

Un articolo di

Agostino Picicco

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