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La famiglia vince sempre, anche se in forme diverse

03 marzo 2021

La famiglia vince sempre, anche se in forme diverse

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La pluralizzazione delle forme familiari e la non linearità dei percorsi costitutivi rappresentano il cambiamento più rilevante che oggi riscontriamo rispetto alla vita familiare.
Nonostante ciò i dati confermano l’importanza della famiglia per gli italiani.
Queste evidenze emergono dall’indagine European Values Study - realizzata da una équipe di ricerca dell’Università Cattolica e dell’Università degli Studi di Milano - presentata nel volume Come cambiano gli italiani. Valori e atteggiamenti dagli anni Ottanta a oggi di Ferruccio Biolcati, Giancarlo Rovati, Paolo Segatti, Il Mulino 2020.

I dati sulla famiglia, analizzati da Sara Mazzucchelli, docente di Sociologia dei processi culturali dell’Ateneo,  saranno presentati giovedì 4 marzo durante il webinar “Fare famiglia: un cammino a piccoli passi”.
Cosa è cambiato rispetto alla famiglia e al matrimonio? «Dietro l’importanza di alcuni elementi costitutivi del legame familiare, quali la fedeltà, la generatività e la condivisione, ci sono una forte dialettica tra stabilità, reversibilità ed esclusività dei legami matrimoniali - spiega Mazzucchelli -, e al tempo stesso la tensione tra aspirazione alla parità e persistente asimmetria tra i ruoli di genere. Anche la relazione socio educativa tra genitori e figli concentrata oggi sulla trasmissione di valori individualistico-espressivi è chiamata ad un ripensamento».

Se fino a pochi decenni fa la transizione alla vita familiare seguiva una precisa sequenza normativa (fidanzamento, matrimonio religioso o civile e nascita del primo figlio), oggi i percorsi di coppia sono molteplici e non lineari. Nonostante ciò, nel 2018 gli italiani continuavano ad attribuire molta importanza alla famiglia d’origine e/o d’elezione (90,5%) e a riporre in essa una completa fiducia (85,4%). 
In questo contesto la ricerca ha preso in esame, analizzando i dati longitudinali emersi negli ultimi quarant’anni, i percorsi di coppia, gli atteggiamenti nei confronti del matrimonio, i valori più importanti da trasmettere ai figli e le rappresentazioni dei ruoli di genere. 

«Nelle rilevazioni dal 1990 al 2018 la famiglia è considerata molto importante dall’89,5% degli intervistati con una punta massima del 91,5% nel 2009 - continua la docente -. La fiducia nella propria famiglia è stata invece rilevata solo nel 2018, con risultati molto positivi nell’85,4% dei casi. Nelle diverse rilevazioni i coniugati esprimono valutazioni superiori alla media tanto sul versante dell’importanza quanto della fiducia».

Per quanto riguarda i legami e i percorsi di coppia, ricostruendo quelli degli intervistati nel 2018, si è visto che la condizione più diffusa (55,8%) è quella della coppia coniugata che però registra una leggera flessione rispetto alle precedenti indagini.
La convivenza prima del matrimonio è un percorso in crescita specialmente tra i più giovani (18-34 anni) ma questa fase di sperimentazione non mette al riparo da fallimenti e rischia, anzi, di rappresentare un acceleratore della fine del legame matrimoniale.

Un altro percorso di coppia è rappresentato dai conviventi non coniugati, una modalità relazionale alternativa al matrimonio che coinvolge il 4,6% degli intervistati con una leggera diminuzione rispetto alla rilevazione del 2009. Diversamente da qualche anno fa la convivenza non sembra configurarsi semplicemente come preludio al matrimonio e alla conseguente genitorialità, ma come un’alternativa nella quale può avere spazio anche la dimensione genitoriale: 38 conviventi su 100 hanno, infatti, figli.

«Mentre nella rilevazione del 2009 la condizione di chi ha una relazione stabile ma non convive (LAT) era maggiormente diffusa tra i single e i più giovani (18-34 anni), nel 2018 assistiamo ad una maggiore diffusione tra i separati/divorziati e tra le persone di mezza età (35-54 anni) - aggiunge Mazzucchelli -. Per questi ultimi e per gli over 55 la modalità LAT prevede anche la presenza di figli, praticamente assenti tra i più giovani».
Se prendiamo in considerazione i separati (3,4% del totale) possiamo riscontrare come siano maggiormente presenti nella fascia di età 35-55 anni e abbiano un livello d’istruzione più basso rispetto alle altre categorie di stato civile. I divorziati (3,2% del totale) sono invece più presenti nella fascia d’età superiore ai 55 anni e tra chi ha livello di istruzione alto. Tra i separati e i divorziati è in aumento il numero di coloro che vivono con i genitori, mentre un numero non trascurabile vive con i figli.

È interessante, infine, considerare quanti vivono con i genitori, ovvero il 19,5% del campione, in calo rispetto alla rilevazione del 1999 (27,3%); si tratta prevalentemente di celibi/ nubili (61,8%) e, in misura minore, di separati (16%) o divorziati (9,9%). 

Insomma si assiste a una fase costitutiva della famiglia “a piccoli passi” (relazione stabile di coppia seguita da matrimonio o convivenza) dettata da maggiore titubanza e diffidenza verso relazioni stabili, e da elementi strutturali come l’allungamento dei percorsi di studio, il difficile accesso al mondo del lavoro e la precarietà, che dilazionano il percorso costitutivo della famiglia elettiva. 

Tra gli elementi che favoriscono la riuscita di un matrimonio o di una convivenza, gli italiani ritengono molto importanti la fedeltà (82%, in diminuzione rispetto alla rilevazione del 2009), l’avere figli (76%, trend in deciso aumento), un reddito adeguato (41%, decisamente rafforzato rispetto al 2009), un’abitazione confortevole (36%, con un’incidenza quasi raddoppiata rispetto al 2009), condividere i lavori e le faccende di casa (36% stazionario rispetto al 2009), avere del tempo per i propri amici e per le attività personali/hobby (31% diminuito rispetto al 2009).

Mentre le coppie attribuiscono maggiore importanza alla dimensione etico-simbolica della fedeltà e dell’avere figli, i single attribuiscono più importanza a quella espressiva della condivisione dei compiti domestici, dell’avere del tempo per i propri amici e per le attività personali/hobby.  Altrettanto significative risultano le differenze di genere: mentre gli uomini attribuiscono maggiore importanza all’avere del tempo per i propri amici e per le attività personali/hobby, le donne attribuiscono maggiore importanza alla fedeltà e alla condivisione dei compiti domestici.

Infine, la famiglia è giudicata importante, ma il matrimonio come istituzione decisamente meno. La generazione dei Baby boomers (nati nel 1945-1964) è stata la principale protagonista della presa di distanza dal matrimonio, aprendo di fatto la strada alle successive generazioni. I componenti della Generazione X (nati nel 1965-1984) partono da posizioni più moderate, sia rispetto ai Baby boomers, sia ai Nati tra le due guerre, in aperta controtendenza verso chi li ha preceduti; all’aumentare dell’età sorpassano però gli orientamenti critici degli stessi Baby boomers nell’intero periodo 1999-2018. La presa di distanza dal matrimonio diventa ancora più accentuata per le generazioni dei Millennials (nati nel 1985-1994) e dei giovanissimi, appartenenti alla Generazione Z (nati dopo il 1994). 
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

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