Sono tante le norme internazionali che vietano la tortura o qualsiasi altro trattamento inumano o degradante. Il divieto “eterno” della tortura statuito nell’ordinamento giuridico tedesco o l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, che lo indica anche come unico diritto inalienabile, ne sono la manifestazione più evidente. Tuttavia, l’enorme arsenale di disposizioni contro la violenza esercitata dal potere non è bastato a zittire l’animato dibattito sulla «legittimazione o ri-legittimazione della tortura» che ha preso piede nel corso del XXI secolo, anche in mondi che non potevamo immaginare.
A richiamare l’attenzione sull’affermarsi di una «nuova apologetica della tortura», è stato Gabriele Fornasari, ordinario di Diritto penale all’Università di Trento dove dirige anche l’Osservatorio sulla giustizia di pace, conciliativa e riparativa. E lo ha fatto giovedì 9 marzo durante il terzo incontro del ciclo seminariale “Giustizia e letteratura”, giunto quest’anno alla sua tredicesima edizione, e dedicato ad analizzare la violenza nelle sue diverse sfaccettature: individuale, istituzionale, verbale. Una riflessione a più voci su un tema tornato prepotentemente alla ribalta, soprattutto all’indomani dell’11 settembre 2001, e che si è sviluppato attorno all’analisi di due opere letterarie: “Nella colonia penale” di Franz Kafka, scritto nel 1914, e “Aspettando i barbari” di John Maxwell Coetzee, pubblicato nel 1980, distanti nel tempo ma accomunate proprio dalla medesima rappresentazione della tortura corporea.
“Aspettando i barbari”, il cui titolo è tratto da una poesia di Konstantinos Kavafis, è un romanzo breve, composto da sei capitoli narrati in prima persona da una voce anonima. È un racconto intriso di filosofia, profondamente concettuale e allegorico. Dove l’«allegorismo» assume un ruolo preciso, ed «è impiegato per interpretare questioni centrali: il potere, la devastazione della dignità umana operata attraverso la tortura e il rapporto dell’uomo di legge con la fallibilità della legge stessa rispetto all’ideale di giustizia», ha spiegato Roberta Gefter Wondrich, docente di Letteratura inglese all’Università di Trieste, e tra i discussant dell’incontro “Il corpo torturato dal potere: dalla Colonia penale di Kafka ad Aspettando i barbari di Coetzee”, introdotto da Gabrio Forti, direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (Asgp).
Secondo la professoressa Gefter Wondrich la straordinarietà dell’opera di Coetzee sta proprio nel suo «esplorare la connivenza morale dell’uomo di legge con le devianze del potere». Ma anche nella «rappresentazione della tortura in cui il corpo, con il suo dolore e con i suoi segni, diventa una sorta di testo letterario». Del resto, è proprio nell’intreccio tra corpo, dolore e segno grafico impresso nella carne che si può cogliere il legame con Kafka. Non a caso Coetzee, che ne è il suo maggiore erede tra gli autori della letteratura contemporanea, è uno scrittore che invita a riflettere sul fatto che la letteratura è evento proprio perché ha una «dimensione etica imprescindibile». Difatti, tutta la sua opera è incentrata sulla responsabilità della scrittura, che così può essere una risposta etica al collasso del senso che si trova nell’esperienza dell’abuso, del potere, della distruzione della dignità dell’essere umano.
Per questo motivo “Waiting for the Barbarians” s’inserisce perfettamente «in quello spazio aperto della letteratura “davanti alla legge”» e rappresenta «con grande forza la potenzialità, la capacità con cui la sfera del diritto e della legge pone la narrazione letteraria di fronte a una richiesta di coinvolgimento e di posizionamento etico che dall’autore passa al lettore e che da lui si estende ai molti». Una richiesta, ha specificato la docente dell’Università di Trieste, «che viene posta anche di fronte a una comprensione e a una drammatizzazione della complessità dell’agire umano nello stato di diritto e nelle sue sovversioni, nelle dinamiche del potere, nelle sue esclusioni e involuzioni dei soggetti e che, pertanto, rimanda a un discorso etico e politico che si può esprimere proprio in quello spazio di indeterminatezza e molteplicità che è la dimensione imprescindibile della letteratura».