Rilevante fu l’incontro con don Peppino Tedeschi e con Vittorino Chizzolini, che lo coinvolsero sia nelle attività caritatevoli a favore dei poveri e degli emarginati, sia nelle iniziative dell’Azione Cattolica.
Nel 1940 conseguì la maturità magistrale e si iscrisse alla Facoltà di Magistero all’Università Cattolica di Milano, aderendo alla Fuci. Interpretò il suo ruolo di giovane maestro come un apostolato educativo. Lasciato l’insegnamento, entrò nella redazione della rivista «Scuola italiana moderna», dove – dopo l’8 settembre 1943 – incontrò Astolfo Lunardi, che lo coinvolse nelle prime azioni clandestine del nascente movimento resistenziale bresciano.
Con il nome di battaglia “Emi”, prese poi parte alla Resistenza antifascista sui monti della Valtrompia e della Valsabbia, diventando vicecomandante di un gruppo della Brigata “Giacomo Perlasca” delle Fiamme Verdi, formazioni autonome di ispirazione cristiana, accettando consapevolmente i rischi di quella scelta: furono incarcerati i genitori, deportati la sorella Giacomina e il fratello Federico (ucciso in un lager).
Nel febbraio del 1945, durante un rastrellamento dei militi fascisti della Guardia nazionale repubblicana, fu catturato a Odeno e condotto a Idro, torturato e poi riportato in montagna per essere indotto – invano – alla delazione. Sulla via che da Belprato riconduceva a valle, oltre la chiesetta di San Bernardo, senza processo e senza condanna, fu freddato con una raffica di colpi alle spalle: aveva da poco compiuto ventitré anni.
Il cammino che lo condusse dalla scelta personale di ribellione al nazifascismo all’ingresso nel movimento collettivo di Resistenza è tracciato nel suo diario, uno scritto di profonda intensità spirituale. Da quelle pagine emergono l’esigenza dell’educazione del carattere e della volontà, l’impegno per il perfezionamento interiore alla luce del Vangelo: elementi che lo portarono ad agire nella speranza di far nascere, dalle macerie della guerra e dalle ceneri dei totalitarismi, una società più cristiana e più giusta.
Per quel giovane “ribelle per amore”, la scelta di prendere le armi fu dolorosa e sofferta ma vissuta come risposta a un imperativo morale, che imponeva alle coscienze di scegliere tra due opposte e inconciliabili concezioni del mondo, nella consapevolezza che si stesse combattendo una “guerra di civiltà”, per porre fine a un’epoca di barbarie. La breve esistenza di Emi Rinaldini rappresenta un richiamo all’assunzione di responsabilità di fronte ai fatti tragici della Storia, un invito a compiere ciascuno la propria parte, a conoscere il proprio tempo e ad agire per renderlo migliore, in nome degli ideali per i quali quel giovane accettò il rischio di morire: la libertà, la solidarietà e, soprattutto, la giustizia sociale, senza la quale nessuna pace è davvero possibile.