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La pace è sempre possibile

10 novembre 2023

La pace è sempre possibile

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Dalla Cripta dell’Aula Magna dell'Università Cattolica si è levato un forte e chiaro appello alla pace. Un invito a tenere desta l’attenzione affinché non ci si rassegni alla violenza, come sola soluzione ai conflitti, proprio mentre la guerra torna a produrre morte e distruzione.

L’occasione è stato il convegno «Dalla fraternità alla regola. Storia ed eredità di Francesco d’Assisi» promosso dalla Fondazione Terra Santa, l’istituzione culturale della Custodia francescana, punto di riferimento in questi giorni drammatici per le comunità cristiane che vivono nella striscia di Gaza, in Cisgiordania e Israele e sono travolte dal 7 ottobre scorso da un nuovo conflitto, come ha raccontato a margine dell’incontro, il Custode, padre Francesco Patton, giunto a Milano da Gerusalemme: «Ospedali e scuole sono stati colpiti dalle granate, c’è chi piange i propri cari, chi ha perso la casa», ma anche dove non sono piovute dal cielo le bombe è calato un clima agghiacciante, nessuno si fida più dell’altro, convivi con il pensiero costante che «la persona con la quale prendevi il caffè il giorno prima può essere un tuo potenziale nemico, tutti sospettano di tutti».

Eppure, proprio, in questo momento occorre ritrovare la forza di pronunciare la parola pace, sostiene Patton. A sottolinearlo è il prorettore alla Comunicazione, il professor Fausto Colombo: «Rivedo in questi giorni il ripetersi di un fenomeno classico delle narrazioni sulla guerra, la sua riduzione a questione formale, l’effetto è un progressivo distanziamento dalla compassione per gli innocenti: il solo sentimento che ci rende umani». «Ma se davvero siamo una comunità di destino, non vi è narrazione che non possa partire dall’assurdità della guerra», ha sottolineato Colombo. Un tasto sul quale ha battuto anche il professor Andrea Canova, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, rievocando il famoso episodio dell’incontro di Francesco con il sultano durante l’assedio alla città egiziana di Damietta da parte dei crociati. Anche se in seguito a quel colloquio al-Malik al-Kāmil rimase musulmano, «un uomo che va a parlare disarmato con il nemico», come fece il santo di Assisi in quell’episodio storico, «ci dà la speranza che un dialogo sia sempre possibile».

Il convegno, parte delle iniziative dei centenari francescani, ha messo a fuoco, nella mattinata, la lunga e laboriosa gestazione della regola.


Già nei primi decenni del ‘200 Francesco «si rende conto che i suoi seguaci sono troppo numerosi perché possano fare a meno di norme formali» ha sottolineato il professore Roberto Rusconi della Università degli Studi Roma Tre. Un sogno, raccontato da uno dei suoi tanti biografi, Tommaso da Celano, ne è rivelatore. Nella visione notturna appare al santo di Assisi una piccola gallina bruna con attorno talmente tanti pulcini che non riusciva a raccoglierli tutti sotto le ali. Il biografo riporta che nella chioccia Francesco riconobbe sé stesso e nei suoi piccoli i propri confratelli. Per non disperderli occorreva che fossero affidati alla protezione della Chiesa. Ma ottenere un riconoscimento dalle autorità ecclesiastiche era tutt’altro che agevole. Quel periodo era segnato da un grande fermento spirituale, come ha ricostruito il professor Nicolangelo D’Acunto dell’Università Cattolica. Il concilio Lateranense IV, celebrato in quegli anni (1215), prescriveva alle nuove comunità religiose di scegliere regole già approvate. A Francesco viene chiesto di assumere la regola dei canonici regolari (di Agostino) o quelle dei monaci (di Benedetto o Basilio). Ma il poverello di Assisi si rifiuta. Inizia così un lungo e tormentato periodo che portò a diverse bozze ed infine il 29 novembre 1223, 800 anni fa, alla bolla Solet annuere, con cui Papa Onorio III approva definitivamente la regola, detta appunto bollata. Un parto tormentato, che non mise fine alle tensioni che erano sorte tra i fratelli, sulla corretta lezione del santo, se, come ha fatto notare, frate Luciano Bertazzo, professore alla Facoltà teologica del Triveneto, ancora fra Bonaventura, nella sua biografia su Francesco gli mette in bocca al momento della morte queste parole: «Io ho fatto la mia, la vostra ve la insegni Gesù stesso».

Sullo sfondo delle lotte interne alle istituzioni comunali che andavano formandosi e dello scontro tra Papato e Impero, il movimento francescano ebbe «uno sviluppo tumultuoso che nessun altro ordine religioso può vantare», ha rimarcato D’Acunto. L’entusiasmo per la vita in povertà vissuta nel servizio agli infermi e ai malati coinvolse anche Milano. Molte comunità inizialmente di frati laici non consacrati si svilupparono nei dintorni della città presso ospizi e lebbrosari. Nel suo testamento un ricco mercante dispone il lascito di una cospicua somma di denaro ai frati minori dell’ospizio di San Vittore all’Olmo. Il documento è datato 27 marzo 1224. Si tratta, secondo la professoressa, Maria Pia Alberzoni dell'Università Cattolica, della prima attestazione della presenza dei francescani in città. L’ospizio sorgeva in un’area fuori dalle mura cittadine, che corrisponde al luogo dove si trova oggi il carcere di San Vittore. Il generoso emolumento doveva servire a sostenere l’attività di assistenza ai poveri e agli infermi.

Grazie ai buoni auspici della Santa Sede, che vide nei francescani una forza capace di orientare le nascenti istituzioni comunali a suo favore e soprattutto in virtù del grandissimo consenso popolare di cui godettero, nel 1233 i frati minori iniziarono la costruzione del convento e della chiesa di San Francesco Grande, che fu fino alla erezione del Duomo l’edificio di culto più ampio della città. Grazie all’iniziativa di Leone da Perego, frate francescano e vescovo di Milano il complesso conventuale si dotò anche di uno studium, diventando in questo modo non solo un punto di riferimento religioso ma anche culturale per una città, come Milano, che vedrà sorgere veri e propri atenei solo nel XIX secolo.

In epoca napoleonica il convento francescano fu confiscato, i fabbricati furono demoliti e al loro posto venne eretta la caserma, che durante il Risorgimento divenne il quartiere generale di Giuseppe Garibaldi da cui successivamente prese il nome. La struttura rimase a disposizione delle forze armate fino al 1981, quando passò alla Polizia di Stato. Ma proprio la decisione della Cattolica di acquisire l’immobile per realizzarvi un nuovo campus universitario permetterà a questo luogo della città di ritrovare la sua vocazione originaria. «Una scelta che forse avrebbe fatto felice il fondatore del nostro Ateneo, Agostino Gemelli, un frate francescano», ha chiosato Maria Pia Alberzoni.

 «Nella nomenclatura ecclesiastica, i frati francescani, vengono detti ordini mendicanti. Ma a Milano più che a chiedere sono venuti a donare, più che a mendicare a soccorrere», ha concluso l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, presidente dell’Istituto Toniolo.  

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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