Già nei primi decenni del ‘200 Francesco «si rende conto che i suoi seguaci sono troppo numerosi perché possano fare a meno di norme formali» ha sottolineato il professore Roberto Rusconi della Università degli Studi Roma Tre. Un sogno, raccontato da uno dei suoi tanti biografi, Tommaso da Celano, ne è rivelatore. Nella visione notturna appare al santo di Assisi una piccola gallina bruna con attorno talmente tanti pulcini che non riusciva a raccoglierli tutti sotto le ali. Il biografo riporta che nella chioccia Francesco riconobbe sé stesso e nei suoi piccoli i propri confratelli. Per non disperderli occorreva che fossero affidati alla protezione della Chiesa. Ma ottenere un riconoscimento dalle autorità ecclesiastiche era tutt’altro che agevole. Quel periodo era segnato da un grande fermento spirituale, come ha ricostruito il professor Nicolangelo D’Acunto dell’Università Cattolica. Il concilio Lateranense IV, celebrato in quegli anni (1215), prescriveva alle nuove comunità religiose di scegliere regole già approvate. A Francesco viene chiesto di assumere la regola dei canonici regolari (di Agostino) o quelle dei monaci (di Benedetto o Basilio). Ma il poverello di Assisi si rifiuta. Inizia così un lungo e tormentato periodo che portò a diverse bozze ed infine il 29 novembre 1223, 800 anni fa, alla bolla Solet annuere, con cui Papa Onorio III approva definitivamente la regola, detta appunto bollata. Un parto tormentato, che non mise fine alle tensioni che erano sorte tra i fratelli, sulla corretta lezione del santo, se, come ha fatto notare, frate Luciano Bertazzo, professore alla Facoltà teologica del Triveneto, ancora fra Bonaventura, nella sua biografia su Francesco gli mette in bocca al momento della morte queste parole: «Io ho fatto la mia, la vostra ve la insegni Gesù stesso».
Sullo sfondo delle lotte interne alle istituzioni comunali che andavano formandosi e dello scontro tra Papato e Impero, il movimento francescano ebbe «uno sviluppo tumultuoso che nessun altro ordine religioso può vantare», ha rimarcato D’Acunto. L’entusiasmo per la vita in povertà vissuta nel servizio agli infermi e ai malati coinvolse anche Milano. Molte comunità inizialmente di frati laici non consacrati si svilupparono nei dintorni della città presso ospizi e lebbrosari. Nel suo testamento un ricco mercante dispone il lascito di una cospicua somma di denaro ai frati minori dell’ospizio di San Vittore all’Olmo. Il documento è datato 27 marzo 1224. Si tratta, secondo la professoressa, Maria Pia Alberzoni dell'Università Cattolica, della prima attestazione della presenza dei francescani in città. L’ospizio sorgeva in un’area fuori dalle mura cittadine, che corrisponde al luogo dove si trova oggi il carcere di San Vittore. Il generoso emolumento doveva servire a sostenere l’attività di assistenza ai poveri e agli infermi.
Grazie ai buoni auspici della Santa Sede, che vide nei francescani una forza capace di orientare le nascenti istituzioni comunali a suo favore e soprattutto in virtù del grandissimo consenso popolare di cui godettero, nel 1233 i frati minori iniziarono la costruzione del convento e della chiesa di San Francesco Grande, che fu fino alla erezione del Duomo l’edificio di culto più ampio della città. Grazie all’iniziativa di Leone da Perego, frate francescano e vescovo di Milano il complesso conventuale si dotò anche di uno studium, diventando in questo modo non solo un punto di riferimento religioso ma anche culturale per una città, come Milano, che vedrà sorgere veri e propri atenei solo nel XIX secolo.
In epoca napoleonica il convento francescano fu confiscato, i fabbricati furono demoliti e al loro posto venne eretta la caserma, che durante il Risorgimento divenne il quartiere generale di Giuseppe Garibaldi da cui successivamente prese il nome. La struttura rimase a disposizione delle forze armate fino al 1981, quando passò alla Polizia di Stato. Ma proprio la decisione della Cattolica di acquisire l’immobile per realizzarvi un nuovo campus universitario permetterà a questo luogo della città di ritrovare la sua vocazione originaria. «Una scelta che forse avrebbe fatto felice il fondatore del nostro Ateneo, Agostino Gemelli, un frate francescano», ha chiosato Maria Pia Alberzoni.
«Nella nomenclatura ecclesiastica, i frati francescani, vengono detti ordini mendicanti. Ma a Milano più che a chiedere sono venuti a donare, più che a mendicare a soccorrere», ha concluso l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, presidente dell’Istituto Toniolo.