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Lotta alle disuguaglianze, una priorità per l’impegno sociale della Chiesa

02 marzo 2023

Lotta alle disuguaglianze, una priorità per l’impegno sociale della Chiesa

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Aggredire le cause generatrici dei «fenomeni perversi» che caratterizzano il nostro tempo, primo fra tutti l’«aumento endemico delle disuguaglianze sociali». È l’obiettivo prioritario dell’insegnamento sociale della Chiesa che ha come fine ultimo il bene comune. Ecco perché l’«etica non può essere separata dall’economia». A puntare il dito contro un sistema economico che ha guarda al «capitalismo come una religione», con tutte le conseguenze che ne sono derivate, è stato il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali Stefano Zamagni. «Prima si dava per scontato che il modello capitalistico fosse un dato di natura rispetto al quale c’era poco da fare. Ma non è affatto così». Basta guardare alla «patristica che sta all’origine di quel modello di economia di mercato frutto del pensiero francescano» e artefice di un’organizzazione sociale attenta al «bene di tutto l’uomo».

L’economista, alumnus dell’Università Cattolica, dove si è laureato in Economia e Commercio, autore di numerosi studi sulle tematiche dell’economia civile, mercoledì 1° marzo è ritornato nel suo Ateneo per pronunciare la Prolusione ai Corsi di Teologia, l’appuntamento tradizionale rivolto in particolare agli studenti del primo anno, e che segna l’inizio del secondo semestre delle attività didattiche.

«Il titolo della prolusione – L’insegnamento della Chiesa e le nuove sfide sociali in campo economico ed ambientale – mette chiaramente in relazione l’insegnamento della Chiesa con le sfide del nostro tempo», ha esordito il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli nel suo saluto. Inoltre, ha aggiunto, c’è «una felice coincidenza tra il titolo di questa relazione e quello della 99esima Giornata per l’Università Cattolica che ricorrerà il prossimo 23 aprile (Per amore di conoscenza. Le sfide del nuovo umanesimo). Entrambi contengono la parola sfide». Negli ultimi anni «è aumentata la consapevolezza dell’opinione pubblica di fronte ad alcune questioni». A fronte di «situazioni di disagio diffuse, politiche economiche ingiuste, comportamenti personali e collettivi poco rispettosi per l’ambiente» credo che «le università – e la nostra in modo particolare – debbano svolgere un ruolo prezioso nell’educare a sviluppare quella particolare sensibilità che consente di ricercare soluzioni giuste che possano risolverle». Da questo punto di vista, ha fatto eco l’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo monsignor Claudio Giuliodori, «lo studio della teologia, un dono che questa università offre ai suoi studenti, costituisce un utile strumento per non privarsi di quel bagaglio di saperi che possono essere elementi di dialogo e di discernimento», perché «questi insegnamenti offrono un contributo alla formazione integrale dell’uomo».

Del resto, è il presupposto antropologico che contraddistingue l’insegnamento sociale della Chiesa da cui bisogna partire per avere risposte concrete ai problemi cruciali della nostra epoca. Ne è profondamente convinto il professor Zamagni la cui riflessione ha preso le mosse passando in rassegna le tre fasi che hanno caratterizzato la storia del pensiero sociale della Chiesa. La prima è quella della patristica e comincia nel 370 con Basilio di Cesarea e il suo libretto sul buon uso delle ricchezze. È in questo periodo che nasce l’economia di mercato, da non confondere con il capitalismo poiché si fonda sull’armonia di tre dimensioni: etica, socio-relazionale e materiale. La seconda fase, invece, coincide con la riforma protestante e, quindi, con l’avvio della rivoluzione industriale nel corso della quale la Chiesa «gioca di rimessa per cercare di rimediare alle ingiustizie» prodotte da una visione del mondo che pone in primo piano il bisogno di accumulare ricchezza. Infine, la terza fase che, iniziando nel secondo dopoguerra, arriva ai giorni nostri e si caratterizza per la pubblicazione di alcuni documenti fondamentali per la Chiesa. Tra questi la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dalla pubblicazione, la Populorum Progressio di Paolo VI, la Centesimus Annus e la Sollecitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II, la Caritas in veritate di Benedetto XVI, cui si aggiungono quelli più recenti di Papa Francesco. «Cuore di questa terza fase è aggredire quelle che Paolo VI definiva le “strutture di peccato”, vale a dire quell’insieme di istituzioni politiche, sociali ed economiche che costringono, al di là delle singole intenzioni dell’individuo, a compiere azioni che producono il male».

Per l’economista, infatti, sono cinque le res novae, le questioni cruciali da affrontare in questo delicato momento storico: l’aumento delle disuguaglianze, l’idea che crescita e sviluppo siano identiche, la nozione di lavoro umano che premia la dimensione acquisitiva a discapito di quella espressiva che valorizza il talento, il paradosso della felicità, il progetto transumanista, secondo cui nel 2035 arriverà l’intelligenza ibrida. L’alternativa a tutto questo? Per Zamagni è il «progetto neo-umanista» incarnato dalla voce della Chiesa, l’unica in grado di spendersi nei confronti di questi fenomeni. E questo perché tiene conto di quell’assunto antropologico che neppure l’homo oeconomicus è in grado di presupporre in quanto altro non è se non il «precipitato pratico» dell’homo homini lupus, teorizzato da Hobbes. L'uomo al contrario, secondo l’approccio dell’economia di Francesco, è homo homini natura amicus, che vuol dire “ogni uomo è, per natura, amico dell'altro uomo”. L’altro grande pilastro dell’insegnamento sociale della Chiesa è poi la non accettazione del principio Noma (Non Overlapping Magisteria), formulato nel 1829 dal vescovo anglicano Richard Whately, docente a Oxford, e basato sulla netta separazione tra etica ed economia. La tesi del Noma, ancora dominante, è quella da combattere poiché il Pil, la crescita ad infinitum non determinano il bene comune. Per questo motivo la dimensione etica deve entrare nel discorso economico proprio per arginare i paradossi di un’epoca guidata dal mito dell'efficienza e della meritocrazia. Giovanni Paolo II lo diceva già nel 2004: “La discriminazione in base all’efficienza non è meno deprecabile di quella compiuta in base alla razza o al sesso o alla religione”.

 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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