Riaffermare con forza e coraggio il legame dell’Europa con questo mare affrontandone i problemi e cogliendone le opportunità. La riflessione del professor Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica e Direttore del Centro di Ricerca sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato (CRiSSMA) dell'Università Cattolica, in occasione della Giornata Mondiale dedicata al Mediterraneo che si celebra venerdì 8 luglio.
Esiste ancora una regione euro-mediterranea a cui Bruxelles deve guardare? O un “fronte Sud” della Nato? L’invasione russa dell’Ucraina, l’allargamento repentino dell’Alleanza Atlantica a paesi nordici quali Svezia e Finlandia, il ritorno prepotente di una percezione di una minaccia da Est sembrano dire che no, che l’Europa orientale deve essere il perno geopolitico su cui fissare la nostra attenzione.
E in fondo, dalla fine della Guerra Fredda, la politica di allargamento a Est di Unione Europea e Nato è sempre stata prioritaria rispetto alle politiche di engagement verso il Sud. Il Mediterraneo era sì una fonte inesauribile di guai, ma a cui i paesi centro-settentrionali dell’Europa guardavano con un certo fastidio e con un atteggiamento sostanzialmente reattivo, di pura risposta a sfide, crisi, minacce. Lo stesso programma di partenariato euro-mediterraneo, il cosiddetto “Processo di Barcellona”, lanciato alla metà degli anni ’90 ha prodotto risultati molto deludenti e ha da anni palesemente perso slancio e unità d’intenti. In particolare perché con il nuovo secolo e ancor più con l’ultimo decennio, vi è stata l’esplosione di una serie di fattori destabilizzanti che hanno profondamente modificato il tradizionale assetto geopolitico del sistema internazionale.
Il Mediterraneo allargato è stato al centro di questi mutamenti, basti pensare agli attentati del 9/11, le guerre in Iraq e Afghanistan, le rivolte nel mondo arabo del 2011-12, lo scoppio di numerose guerre civili e proxy war, l’emergere violento del fenomeno del jihadismo globale, la crescita del fenomeno migratorio. Inaspettatamente, quindi, il nuovo secolo ha ridato al Mediterraneo una sorta di nuova centralità all’interno delle dinamiche globali, dopo un prolungato periodo di percepita marginalità. Una centralità, tuttavia, che è stata il risultato delle crisi politiche e di sicurezza, dei conflitti e di dinamiche socio-economiche profondamente destabilizzanti.
Dinanzi a questa situazione, L’Europa ha reagito nel modo peggiore: invece di cercare di riformulare la propria strategia verso la sua frontiera meridionale, ha rinunciato a gestire le criticità regionali, cercando quasi di “ritirarsi” da questo mare, come esemplificato dal vergognoso fallimento della gestione comunitaria del problema dei migranti. Anzi, proprio in questi anni sono riemerse le tradizionali rivalità fra i suoi stati membri, che hanno minato ogni possibilità di risposta comune e ulteriormente diminuito l’autorevolezza dell’Unione Europea quale soggetto geopolitico. Il nostro disimpegno ha così offerto spazi geopolitici a tutta una serie di attori locali e regionali (dalla Turchia, all’Egitto, agli Emirati, alla stessa Russia), che si sono mossi in modo aggressivo, contribuendo spesso a destabilizzare il quadro di sicurezza regionale.
Eppure, se si alza lo sguardo dai tante innegabili crisi divampate attorno a questo bacino, si realizza l’importanza economica e commerciale del Mediterraneo che, dopo millenni, è ancora oggi uno degli snodi cruciali del commercio internazionale e per la fornitura di energia. Anzi, proprio la crisi di sicurezza con la Russia e la necessità di diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico dovrebbero spingere l’Unione a ripensare la propria strategia verso Sud, abbandonando la passività degli ultimi anni per formulare una nuova visione per il Mediterraneo.
Un nuovo progetto politico, securitario, economico, ma anche culturale e identitario, che non deve più essere “calato dall’alto” – come in passato – dalla sponda Nord verso quella Sud: il bacino mediterraneo e le aree prospicenti non sono dei soggetti passivi nelle dinamiche geopolitiche odierne; bensì sono soggetti attivi che devono essere coinvolti per pensare in modo inclusivo a una nuova architettura di human security del bacino allargato.
È velleitario illudersi che, volgendo lo sguardo, i problemi di questo mare svaniscano d’incanto. L’Europa è ineludibilmente parte del Mediterraneo: dobbiamo riaffermare con forza e coraggio questo legame, affrontandone i problemi, ma pronti anche a vedere e a cogliere le tante opportunità che questo bacino continua a offrirci.