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Minori, la messa alla prova si fa in università

11 giugno 2024

Minori, la messa alla prova si fa in università

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Un gruppo di minori autori di reato e inseriti in procedimenti penali verranno accolti nel contesto dell’Università Cattolica, sede di Brescia, e seguiti da un’equipe di giovani professionisti, composta da studenti della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica della Facoltà di Psicologia.

“Messa alla prova in Università” è un progetto innovativo, unico in Italia, ideato dal Servizio di Psicologia Clinica e Forense e dal Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica, con la partecipazione della Direzione Generale per la Giustizia minorile e di comunità del Ministero di Grazia e Giustizia, che potrebbe diventare un modello da esportare.

È stato presentato lo scorso 23 maggio durante il seminario “Percorsi di giustizia”.

L’ottica è quella di una ricerca-intervento e di sperimentazione sociale nell’ambito Penale minorile e della Giustizia riparativa, integrando aspetti di carattere scientifico-culturale con azioni di intervento socio-educativo e di promozione e diffusione di sensibilità culturale, civica e sociale.

Il progetto fa seguito a precedenti esperienze, tra cui gli interventi di Trekking Therapy, in cui un gruppo di adolescenti colpevoli di reati minori legati al furto e allo spaccio, sono stati coinvolti in un percorso lungo 6 giorni, 135 chilometri e 38 ore di cammino attorno al Lago di Garda.

«La nuova proposta - spiega il professor Giancarlo Tamanza, coordinatore del progetto - scaturisce proprio dai positivi risultati sin qui ottenuti e intende sviluppare in modo più compiuto e integrato le linee teorico-metodologiche e operative alla base delle precedenti esperienze, con un aspetto inedito, vale a dire l’assunzione da parte dell’Università di un ruolo centrale nell’articolazione organizzativa e nella realizzazione operativa dell’intervento».

Per il professor Tamanza, «ciò costituisce non solo un aspetto del tutto nuovo e mai sperimentato a livello nazionale, ma rappresenta un elemento di valore specifico, sia per quanto riguarda la possibilità di validare scientificamente il modello di intervento, sia perché promuove l’attivazione trasversale di aspetti sociali e culturali e facilita poi la disseminazione e la generalizzazione dei risultati ottenuti».


Un progetto che ha ricevuto il plauso di Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i Minorenni di Brescia: «È l’unica strada percorribile per riuscire a fare quello che la Costituzione ci impone, cioè il recupero dei ragazzi, la loro rieducazione, riportandoli su una strada corretta di vita affinché non diventino un costo per la collettività, perché un ragazzo non recuperato e soltanto punito avrà un destino delinquenziale tracciato. Tutto quello che si fa in prevenzione è un investimento che ha un sicuro ritorno».

Il fatto di inserire adolescenti autori di reato in un contesto universitario potrebbe almeno in parte favorire la possibilità di realizzare attività non solo “socialmente riparative”, ma più direttamente connesse a processi di apprendimento e di acquisizione di conoscenze e competenze.

Inoltre, un contesto sociale e relazionale non squalificante, almeno sotto il profilo della percezione sociale e istituzionale, favorirebbe la “valorizzazione psicosociale del sé” e la possibilità di vivere il percorso in termini non punitivi, ma autenticamente riparativi e riabilitativi.

Per ogni minore verrà realizzato un Piano educativo individualizzato (Pei) che potrà prevedere azioni socialmente utili per l’apprendimento e lo sviluppo di competenze e abilità: attività segretariale di supporto all’attività di ricerca (trascrizione di interviste, inserimento dati, correzione bozze, ricerche bibliografiche) e di affiancamento logistico nella realizzazione di eventi scientifici e culturali.

Tali attività oltre che rappresentare l’occasione di sviluppare e valutare la capacità di portare a termine un impegno, costituiranno anche un’occasione per apprendere conoscenze e competenze relative all’utilizzo di strumenti e tecniche informatici e di mettere in atto procedure comunicative pubbliche e istituzionali all’interno di gruppi di lavoro professionali.

Nella sua prima versione sperimentale il progetto avrà durata di un anno: tre mesi per la progettazione e la selezione dei partecipanti, sei mesi per la realizzazione dell’intervento, tre mesi per l’elaborazione dei dati e la valutazione.

Un articolo di

Paolo Ferrari

Paolo Ferrari

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